Per un setting nel digitale inclusivo e accogliente – Inventare formazione con adolescenti distanti. Parte 2

Quando i cambiamenti sono repentini, il paesaggio cambia in continuazione, il senso di comunità si sfalda, il mondo appare troppo complesso e frammentato per essere capito, sentire la vicinanza con persone di cui si ha fiducia, avere come riferimento qualcuno di significativo per la propria vita, può fare davvero la differenza.

Al di là del nostro mandato, di essere educatori, insegnanti di scienze o animatori teatrali, in questo momento per i ragazzi è probabile che possiamo essere annoverati tra quei riferimenti. Il nostro primo obiettivo è quindi semplicemente esserci, camminare al fianco in questo momento difficile.

Una riflessione ai limiti del banale ma che diventa una sfida complessa quando “esserci” si intende nel cyberspazio, in uno spazio digitale già sovraccarico di rumore, e i ragazzi sono quelli più sfuggenti, tendenti a sottrarsi allo sguardo dell’adulto o anche dei pari.

L’APPROCCIO MULTICANALE PER FAVORIRE INCLUSIVITA’

Il digitale non è tutto uguale: ogni piattaforma, ogni forma comunicativa che si può attivare nello spazio virtuale ha caratteristiche proprie, così come i ragazzi hanno differenti modalità e confidenza nell’utilizzo dei diversi canali. Anche dispositivi tra le loro mani sono differenti: c’è chi ha a disposizione un computer di ultima generazione e chi chi solo uno smartphone un po’ rotto e con un sistema operativo datato su cui non si possono installare le app più recenti.

E’ importante avere questa consapevolezza quando si scelgono canali di comunicazione, ed è consigliabile mettere in campo un ventaglio ampio di possibilità.
Noi per riuscire ad “esserci” con i nostri ragazzi, abbiamo deciso di partire mettendo in campo 6 diversi canali/modalità di comunicazione:

what’s app: Non potevamo prescindere dall’applicazione di messaggistica più utilizzata dai ragazzi, sebbene senza prevedere l’utilizzo di gruppi.

Email: ogni messaggio via what’s app viene inviato anche via mail, per i ragazzi e genitori che hanno la possibilità e le competenze per gestire il lavoro scolastico a distanza con un computer. Ci siamo accorti subito che molti ragazzi, in particolare quelli più introversi, interagiscono in modo molto più sereno e aperto via mail piuttosto che attraverso what’s app.

La chat di instagram: i ragazzi hanno a disposizione il riferimento di un account instagram per inviare messaggi privati per chi si trovasse più a familiarizzare maggiormente con quello strumento (ci ha stupito che da parte di alcuni i primi compiti svolti sono arrivati proprio attraverso questa piattaforma)

La chiamata telefonica: con alcuni allievi la classica chiamata vocale si è rivelata il mezzo più efficace per ri-agganciarli. Un ragazzo, completamente scomparso nelle prime due settimane ha risposto ad una mia chiamata (sebbene al secondo tentativo) e ha passato una mezz’ora intensa a raccontarmi la sua vita in quarantena. Da li siamo andati avanti relazionandoci solo attraverso telefonate l’invio di compiti svolti. Con un altro allievo, vista l’impossibilità di utilizzare la videochat, proprio al telefono si sono fatte anche rocambolesche lezioni individuali.

Videochat: abbiamo istituito fin da subito una videochat di incontro settimanale, come conviviale di incontro e condivisione dei vissuti, non di lezione. Per la chat abbiamo stabilito delle “regole di sicurezza” che racconterò a breve.

– Un podcast: è nata “Radio Anno Unico”. La radio come spazio di comunicazione “caldo” in cui lo schermo lascia spazio alla voce e alla musica. Ci è parso tra i media digitali quello più simile alle caratteristiche del nostro setting.

Non ci aspettavamo che i ragazzi avrebbero seguito ogni proposta, si sarebbero palesati su ogni canale, era fondamentale però aprire corridoi comunicativi con il numero più ampio di loro. Il compito che ci eravamo dati era di valorizzare qualunque loro interazione cercando di svilupparla, con delicatezza, in un dialogo.
Fortunatamente questo cambiamento è avvenuto ad anno scolastico avanzato, da ottobre a febbraio c’è stato quindi sufficiente tempo per costruire legami con i ragazzi, fiducia, relazioni non superficiali.
Un conto è infatti, in ambito formativo, costruire relazioni da zero in ambiente digitale e un conto è portare avanti quelle già solide (di questo bisognerà tenere conto all’inizio del prossimo anno se, ci auguriamo di no, la situazione dovesse di nuovo presentarsi così)

CURARE IL SETTING NELLE PIATTAFORME DIGITALI

Una questione delicata è quella del setting, anche se in ambito scolastico sembra poco riflettuta. Le piattaforme digitali non sono neutre, creano degli ambienti con proprie specificità, incoraggiano determinate modalità di relazione e ne rendono difficili altre, hanno una propria dimensione pedagogica (che può essere anche un “pedagogia nera”…). Le classiche piattaforme scolastiche sono costruite principalmente per il lavoro di tipo cognitivo, i social network privilegiano il rumore e l’emotività immediata escludendo la profondità e la riflessione; le app di messaggistica istantanea richiedono un’attenzione h24, la nostra presenza continua. I “gruppi” sono spazi dove è fondamentale ribadire di esserci, meglio se mostrandosi brillanti,dove il silenzio non è ben visto. Muovendo da questa consapevolezza, da un approccio di “autodifesa digitale” (Ippolita, 2017) e valutando l’impossibilità, quantomeno in questa prima fase, di abbandonare alcuni di questi strumenti, abbiamo deciso di:

Utilizzare il meno possibile canali comunicativi che restituiscano un “rating”

Evitare il più possibile di costruire la nostra relazione in uno spazio gamificato, in cui i like e cuoricini viziano la comunicazione trasformandola in un gioco narcisistico di accumulo di punti (ci sono delle piattaforme che scuole e università hanno adottato come proprio standard che comprendono queste caratteristiche!).

Utilizzare social network solo per la messaggistica 1 a 1, non aprire un gruppo what’s app che comprenda noi e i ragazzi.

Il gruppo what’s app è per sua natura ansiogeno. In ogni istante (giorno e notte) può arrivare un messaggio, è necessario decidere se rispondere e quali parole usare per essere adeguato e magari brillante. In questo spazio chi è più introverso e in difficoltà nelle relazioni soffre la richiesta di dover partecipare, di essere sempre coinvolto attraverso le notifiche in un territorio che lo mette a disagio, chi tende al protagonismo è invece sempre di più spinto ad alzare il livello del “rumore”. Abbiamo quindi deciso di utilizzare What’s app in modalità 1 a 1, oppure “broadcast”, attraverso la quale è possibile inviare un messaggio che raggiunge contemporaneamente i ragazzi ma individualmente.

-Stabilire specifiche regole “di protezione” in videochat:

Abbiamo comunicato ai ragazzi le regole della videochat. Ognuno poteva scegliere se intervenire:

1- con immagine e voce,

2- solo a voce tenendo spenta la telecamera,

3- tenendo spenta telecamera e microfono utilizzando solo la chat,

4- non utilizzando nemmeno la chat ma solamente come ascoltatori passivi (per quanto un ascoltatore non sia mai passivo…).

E’ importante esplicitare loro il permesso di proteggersi, di entrare nello spazio digitale, in particolare in una declinazione che espone fortemente come la videoconferenza (spalancando agli altri le porte della propria casa) nel modo più conforme a sé. Ricordiamoci che fino a qualche settimana fa nelle scuole era vietato che i compagni si riprendessero tra di loro o filmassero gli adulti, oggi esporre e rendersi passibili dell’appropriazione della propria immagine è diventato al contrario in molti casi obbligatorio senza che il problema venga neanche tematizzato.

ognuno alla videolezione si presenta come vuole…

E’ stato interessante osservare come i diversi ragazzi, di fronte a queste opzioni, abbiano scelto la propria modalità di interazione, e come gruppi diversi hanno propeso per scelte diverse. Nella videochat della Gilda, il gruppo di ragazzi più introversi, pochissimi di loro appaiono in video, la maggior parte interagiscono solo attraverso la voce, un paio solo scrivendo in chat; nel gruppo della crew invece una sola persona ha deciso di non mostrarsi in video.

-Utilizzare quando possibile piattaforme non proprietarie:

L’idea è quella di utilizzare il più possibile applicazioni open source, non proprietarie, tematizzando la scelta con i ragazzi. Questa decisione non va ad influire sul tipo di esperienza relazionale in rete ma, caratterizzando fortemente lo spazio in cui ci si incontra, ha un valore educativo importante.

In questi giorni il nostro miglior alleato è ad esempio Jitsi, piattaforma open source per la videoconferenza, sviluppata con approccio comunitario e “aperto”. Non è necessario loggarsi per partecipare agli incontri, la piattaforma non raccoglie nessun tipo di dati dagli utenti. Quando l’incontro termina scompare anche ogni tracciatura.

L’attuale ricorso di massa alle piattaforme digitali ha incrementato nella scuola e nei contesti educativi il ruolo di grandi multinazionali che costruiscono i loro introiti sulla vendita dei dati, e che hanno interesse alla diffusione di sistemi “chiusi”. Ad emergenza finita sarà difficile tornare indietro, un discorso critico sulla scelta degli ambienti digitali da utilizzare, che non tenga conto solo di quanto “funzionano”, è un tema non rinviabile alla conclusione dell’emergenza.

-La webradio, una possibilità per ricreare un “setting notturno”

Il podcast, o meglio “Radio Anno Unico”, non è sicuramente l’intervento più impattante nell’economia di quelli che abbiamo messo in atto, ma ritengo che abbia un valore e meriti una piccola riflessione a parte. Probabilmente la webradio, il podcast, è uno tra gli strumenti comunicativi più “caldi” tra tutte le possibilità offerte dal mondo digitale, e può quindi riportare qualcosa dell’atmosfera dei setting educativi che coltiviamo in presenza. L’assenza del video e quindi della sovrastimolazione visiva, la centralità della voce, la musica di fondo generano un’atmosfera più “intima”, “notturna”. Ho riservato uno spazio delle brevi trasmissioni prodotte in queste settimane per spiegare le consegne delle attività più riflessive, portando anche frammenti di me, oppure rilanciare e valorizzare le stesse parole scritte dai ragazzi in un’ottica di condivisione, di “cerchio”. Qualche ragazzo ha detto che ascolta queste registrazione di notte “per farsi dei viaggi”.

Radio Anno Unico la concepisco anche come un piccolo regalo, un impegno non richiesto, un’ “eccedenza”; mi piace pensarla come un atto di bellezza che dedico ai ragazzi; forse in questo periodo ne abbiamo molto bisogno.

…e i ragazzi ci sono

Attraverso questo approccio multi-canale e multi-opzione siamo riusciti a coinvolgere quasi tutti i ragazzi; ognuno partecipa a modo suo ma la comunità si è ricreata, mantiene il suo legame. Rimane Emanuele che è comparso solo una volta in videochat senza però dire nulla, siamo però in contatto con la mamma che ci dice che dopo tre anni di reclusione volontaria a casa ora le dice che gli manca la scuola. Marino invece, che nelle prime settimane era completamente sparito, ora risponde con monosillabi ai messaggi. Ci spiega che ha grossi problemi a casa, che non riesce a fare i compiti ma vede e ascolta quello che mandiamo.

Clicca qui se vuoi proseguire nella parte 3. Si parla di come aiutare i ragazzi a costruire senso quando le emozioni rischiano di sovrastare e si fa fatica a interpretare il mondo.

riferimenti:
il nostro gruppo di ricerca e formazione sulla pedagogia hacker, l’approccio conviviale e critico alle tecnologie digitali, si chiama
C.I.R.C.E. (Centro Internazionale di Ricerca per la Convivialità Elettrica)
qui maggiori info

Il lutto e l’essenziale – Inventare formazione con adolescenti distanti, parte 1

Al termine dell’ultima riunione d’equipe prima dell’irrigidirsi delle norme di distanziamento sociale, ero un po’ scoraggiato; pur essendoci venuta qualche bella idea, temevo che sarebbe stato davvero difficile rientrare in contatto con i ragazzi.

Le domande erano tante:

– Come si fa apprendimento esperienziale a distanza? E’ possibile?
– E’ possibile farlo con ragazzi che hanno lasciato la scuola, ognuno con situazioni di crisi personale, qualcuno a rischio ritiro sociale, molti poco motivati?
– Come coinvolgere adolescenti in molti casi provenienti da famiglie non in grado di supportarli, in difficoltà economica che spesso non possiedono altro strumento digitale oltre il proprio smartphone?
– E possibile conservare in qualche modo il setting, lo “spazio magico” dell’Anno Unico, che è così importante per il successo del nostro lavoro?
…perderemo tutti i ragazzi?

opera d’arte fotografica dal titolo: “perdere i ragazzi”

Era passata una settima da quando non li vedevamo e mi sembrava già di aver perso la sintonia con loro, che quel delicato filo che faticosamente si era costruito in questi mesi si sarebbe sfibrato nel lavoro a distanza. Li avevamo contattati via messaggio, chiedendogli come stavano e, come prima semplice consegna, gli avevamo chiesto di mandarci foto di quegli oggetti che li stavano aiutando a vivere meglio queste giornate, ma le risposte erano state davvero poche.

Ciò che temevo era che l’ ‘aura’ speciale dell’Anno Unico, la sua caratteristica di essere luogo “altro” di esperienze intense, si sarebbe irrimediabilmente persa. Mi chiedevo poi quali fossero le aspettative delle famiglie, e avevo grossi dubbi sulla tenuta economica del corso.

In parallelo, al di fuori del lavoro, iniziavo ad essere preoccupato per la situazione sanitaria nel paese e soprattutto qui in Lombardia. Se i primi giorni di sosta forzata mi erano parsi un momento perfetto per riprendere fiato da un’annata impegnativa su tutti i fronti, quasi una piccola vacanza, dopo pochi giorni ero meno già meno sereno. Quando ancora girava lo slogan #milanononsiferma, mia sorella, medico di base, mi raccontava la situazione negli ospedali, la sentivo molto tesa. Pensavo a lei, ai miei genitori anziani, a cosa sarebbe accaduto alla mia bimba piccola se io o la mia compagna fossimo stati ricoverati. Preoccupazioni professionali e familiari si intrecciavano in un mix destabilizzante.

stencil prodotto all’Anno Unico

Regola n 1: Diffidare delle soluzioni tecniche e stare con il problema

La fase del “lutto” per me è durata quasi due settimane. Mi sentivo impotente. In rete si moltiplicavano le lodi alle scuole di “eccellenza” che dichiaravano di aver riprodotto fedelmente in digitale il loro lavoro in presenza, che continuavano a correre, o quantomeno ci provavano. Tutto ciò un pò mi infastidiva: nel mondo (e nelle vite dei ragazzi) stava succedendo qualcosa di enorme, e la scuola sembrava vi si confrontasse solo da un punto di vista tecnico, nell’illusione che spostando online le lezioni la crescita e la formazione dei più giovani fosse salva (ovviamente non mancavano voci fuori dal coro di singoli insegnanti e di qualche pedagogista, ma sicuramente minoritarie).

All’Anno Unico per fortuna non abbiamo avuto molta scelta: il problema non era aggirabile in nessun modo, visto che noi non avevamo programmi da terminare, vista la fragilità dei nostri ragazzi; eravamo obbligati a stare nell’inquietudine, e accogliere le fragilità, nostre prima di tutto.

Ricordo una lunga telefonata con la collega Francesca che ha accolto la mia tensione. Rispetto lo stallo con i ragazzi mi ha detto “Aspettiamo, vediamo se ci rispondono, ascoltiamoli e facciamo quello che possiamo”.

Decidere consapevolmente di rimanere per un po’ in quel disagio, provare a sentirlo in tutta la sua forza senza l’urgenza di risolverlo è stato il primo passo importante.

Dovevo accettare che nostro lavoro non sarebbe stato più, per un lungo tempo, quello che era prima, avremmo perso tanti suoi componenti fondamentali che non potevano essere sostituiti.

Francesca mi aveva riportato al consiglio di Donna Haraway di “stare in contatto con il problema”, accettarlo, non attendere soluzioni tecniche miracolose, ma allo stesso tempo continuare ad avere fiducia, “prepararsi a sbagliare ma riuscendo di tanto in tanto a scovare qualcosa che funziona, qualcosa di congruo e magari bellissimo che prima non c’era”.
Per me era il punto di partenza di cui avevo bisogno.

Regola n. 2: se vuoi essere generativo smetti di tutelare te stesso

Un secondo passaggio importante è stato quello di concentrarsi sui ragazzi. Ciò che mi ha fatto uscire dallo stallo iniziale è stato proprio, anche con un po’ di azzardo, smettere di preoccuparmi per un attimo della tenuta del “sistema” e di ripartire cercando solo una sintonia con loro; passare dal chiedersi “noi di cosa abbiamo bisogno per creare un Anno Unico a distanza?” a – più semplicemente – “di cosa hanno bisogno i nostri allievi in questo momento? Quali urgenze?”.

Ero concentrato a garantire la continuità del sistema, a non abbandonare la metodologia fieramente sperimentata negli anni, un po’ per sana responsabilità da coordinatore, un po’ per orgoglio, piuttosto che cercare di ascoltarli, o meglio, di sentirli. Allentare la tutela di sé stessi (e delle realtà che abbiamo costruito) per volgersi verso l’altro (soprattutto quando ci si sente minacciati) non è mai facile, ma resta fondamentale per attivare movimenti generativi.

Regola n. 3: Nelle situazioni di emergenza porta con te solo l’essenziale

Noi formatori non avevamo idea di come rispondere alla domanda dei ragazzi “cosa dobbiamo fare per resistere a questa situazione, abitarla, viverla senza esserne sopraffatti e magari apprendere?”, in fondo era la stessa questione che ponevamo a noi stessi (una domanda di apprendimento autentica quindi…). Però qualche buona pratica in generale per abitare il caos e la destabilizzazione forse l’avevamo; in fondo l’Anno Unico è sempre stato uno spazio di ricerca sul tema della crisi: personale, sociale, storica; un luogo di sperimentazione di pratiche per “coltivare fiori nel caos”.

Ho sempre sostenuto provocatoriamente (ma neanche troppo) che il lavoro didattico ed educativo con le nuove generazioni oggi deve avere come obiettivo primario lo sviluppo di competenze per abitare il caos.
Quello che avevamo di fronte ora era ‘semplicemente’ un salto di qualità in questo caos.

Nelle situazioni di emergenza si porta con sè però solo l’essenziale. Abbiamo provato a prendere quanto di meglio avevamo imparato in questi anni ma spogliandolo di ogni orpello, tecnica, metodologia; cercato il nucleo, per poi ri-declinarlo calandolo nella nuova situazione. Serviva un esercizio di essenzialità: abbiamo ripreso pratiche, riflessioni, esperienze, letteratura che ci hanno nutrito in questi anni e ne abbiamo distillato una bussola semplice, ma che si è rivelata fondamentale per guidare la navigazione nelle settimane a venire.

Tre risorse per affrontare il caos

Il risultato lo si può sintetizzare così:

E’ possibile abitare il caos, affrontarlo in modo generativo, se:

1 – Non si è soli. Si hanno come riferimento persone di cui ci si fida, legami che si basano sulla stima, l’amicizia, la cura reciproca

2 – Si possiedono strumenti per dare forma e senso ai vissuti caotici, difficili da far rientrare in narrazioni precostituite, per accogliere le emozioni, rallentare la velocità degli eventi, costruire pensiero critico.

3 – Si instaura un ritmo nella propria quotidianità, si mantiene qualche ritualità, struttura a cui aggrapparsi. Si concepisce il presente non come tempo sospeso di attesa di qualcos’altro ma come spazio in cui vale la pena attivarsi, sentirsi ancora vivi e sperimentarsi.

Questi sono i tre punti che ci avrebbero orientati. La sfida ora stava nel capire come potevamo muoverci a distanza per sorreggere i ragazzi in questo senso.

Ci abbiamo messo più di un mese a costruire, partendo da quanto detto, un intervento strutturato che potesse funzionare. Un tempo di tentativi, riflessioni, errori, entusiasmi. Nei prossimi articoli provo a raccontarlo.

Clicca qui per passare al secondo capitolo, che parla di come provare ad “esserci” a non farli sentire soli e costruire un setting il più possibile accogliente nel mondo digitale