Come creare un ambiente accogliente in videochat

suggerimenti per allestire setting per il lavoro riflessivo ed esperienziale nel digitale

Condurre un gruppo in videochat non è facile, ce ne siamo resi conto
tutti durante il periodo di migrazione forzata dei nostri corsi sui
dispositivi digitali, e tanto più non è facile mantenere un setting
“caldo”, che possa essere spazio protetto di condivisione di riflessioni
personali, di lavoro con vissuti emotivi anche delicati.

Attraverso il monitor è più difficile sentirsi parte di un gruppo, il
coinvolgimento emotivo è più difficile, c’è il rischio di distrarsi,
anche perché partecipiamo contemporaneamente all’ambiente del gruppo in videochat e a quello del luogo in cui ci troviamo fisicamente. Inoltre i problemi tecnici possono creare forti disagi: voci e immagini che
laggano, la linea che salta e ci espelle dalla piattaforma e così via.

Seguendo però alcuni accorgimenti possiamo rendere l’esperienza in videochat il più accogliente e conviviale possibile.

Ho provato allora a elencarne alcuni qui,
tante di queste riflessioni e pratiche nascono dalle condivisioni e il lavoro insieme con la collega e amica Cristina Bergo:

Esplicitare insieme regole di fiducia

All’inizio di ogni nuova esperienza di gruppo può essere importante esplicitare le regole che a priori proponiamo al gruppo, dedicare un momento per deciderle insieme, regole che possano far sentire coinvolti e protetti i partecipanti.
E’ importante esplicitare se la sessione sarà registrata, e in caso lo sia cosa ne faremo di quel file.
Se vogliamo davvero creare un clima di complicità e intimità la registrazione andrebbe esclusa, possiamo impegnarci reciprocamente a non fare screenshot, a metterci tutti le cuffie (o isolarci) in modo che ciò che si dice non possa essere ascoltato da eventuali altre persone presenti nelle nostre case.

L’accoglienza e l’aggiornamento: anzitutto la condivisione del vissuto dei partecipanti

Un rito molto utile, all’inizio di una sessione, è quello dell’aggiornamento, ovvero il momento in cui i partecipanti del gruppo condividono qualcosa avvenuto nel tempo in cui non ci si è visti, oppure la situazione emotiva con cui si giunge al lavoro insieme. Sebbene per chiunque si occupi di apprendimento esperienziale questa pratica sia già di un must anche nel lavoro in presenza, in quello a distanza diviene ancora più importante, perchè vengono a mancare i momenti informali in cui questo tipo di condivisione possa avvenire ai margini dell’attività strutturata.

La consegna più classica di un aggiornamento è “oggi vi dico che…“, ma può anche bastare chiedere una parola ad ognuno, magari anche solo da riportare in chat (anche privatamente per chi desidera) per ascoltare e accogliere gioie, sofferenze, piccoli e grandi aspetti della quotidianità.
Gli insegnanti che all’inizio delle proprie lezioni «perdono» del tempo per questo rito, possono testimoniare l’utilità nell’entrare in contatto con i ragazzi, l’influenza positiva nel processo di apprendimento.

Al posto del nome, qualcosa in più di noi:
Uno stratagemma, anzi un «hack» per proporre un aggiornamento in modo semplice e rapido è quello di scrivere una parola che rappresenti il proprio stato d’animo o qualunque cosa si voglia condividere di sé nello spazio fornito da Zoom (e da molti altri software di videochat) per inserire il proprio nome.

Si tratta di una modalità creativa per “hackerare il software”: se quella feature della videochat era pensata come didascalia per riconoscere la persona in modo univoco e oggettivo, per «fare l’appello» noi al contrario la utilizziamo per amplificare la dimensione dell’interiorità, per farne qualcosa di creativo e inaspettato (nel corse delle nostre sperimentazioni lo stesso spazio lo abbiamo utilizzato anche per riportate qualsiasi cosa, persino mini-poesie).

Circolarità: utilizzare il più possibile «catene»

Simmetria e circolarità dei turni di parola sono un elemento importante
in qualsiasi gruppo esperienziale. In videochat divengono ancora più
importanti. Nel setting a distanza, in cui non è facile auto-organizzarsi nei turni degli interventi, in cui il rischio è che chi è più reticente al contrario si auto-escluda, è fondamentale valorizzare la presenza di ognuno accompagnando la presa di parola.
Il consiglio è utilizzare il più possibile le «catene», ovvero interventi regolati dal passaparola, per riconoscersi, dare voce a tutti, incontrarsi virtualmente senza esclusioni (ovviamente nella libertà di non intervenire per chi consapevolmente preferisce non farlo).

Ritmo e consegne a risposta rapida

In videochat i tempi (e l’attenzione) sono in genere più limitati che in presenza, questo rende importante l’utilizzo di specifici accorgimenti per rendere più «leggera» e ritmata la conduzione, anche regolando gli interventi.
Può a questo scopo essere utile ricorrere a consegne a risposta rapida che, se stiamo lavorando su condivisioni riflessive, allo stesso tempo facilitino «ricognizioni introspettive».
Un suggerimento può essere quello di utilizzare stimoli «steli di frase» come:
– la metafora: “un colore/un tempo atmosferico che indichi come sei qui oggi…“,
– brevi elenchi: “tre parole (solo tre) per dire qualcosa di te oggi“.

Limitare gli interventi verbosi
Sempre a scopo di tutelare spazio per tutti, un compito importante ma sicuramente ingrato, è quello di, con cordialità e fermezza, limitare gli interventi più verbosi (eventualità più frequente con gruppi di adulti che di ragazzi…).

Le sociometrie on line

Le sociometrie, introdotte da Jacob Levi Moreno, sono uno strumento molto
funzionale per consentire ai gruppi di esprimersi in modo simmetrico (a
tutti lo stesso spazio per pronunciarsi) su un dato argomento. In videochat – in linea con quanto detto fino ad ora – possono risultare molto utili, sebbene siano necessari adattamenti che funzionino on line.

La modalità che preferisco in videochat è utilizzare semplicemente le mani. Esempi di consegna possono essere:
mostrate con le mani un numero da zero a dieci a seconda di quanto siete a vostro agio nei seminari in videoconferenza
mostrate con le mani un numero da zero a dieci a seconda di quanto questa notte avete dormito bene
Tutti possono così esprimersi contemporaneamente, e attraverso il colpo
d’occhio ognuno può farsi un’idea dei pensieri, dei vissuti, del
posizionamento degli altri rispetto al tema in oggetto.
In seguito il conduttore se desidera può fare qualche domanda di approfondimento a qualcuno dei partecipanti, magari quelli che hanno dato i punteggi più «estremi».
Si tratta di una soluzione tecnica che personalmente ho utilizzato molto, è un modo per dialogare, prendere posizione e ascoltarsi che si presta bene ai tempi della formazione in videochat.

Portare elementi di fisicità e spazialità

In videochat i corpi sono «smaterializzati», questo non vuol dire che non ci sia fisicità e spazialità. Può essere utile, per creare un setting caldo in videochat, provare a «ri-materializzare» e «rispazializzare» il più possibile la relazione.

Una possibilità molto semplice, ma efficace, può essere quella di coinvolgere nel lavoro elementi materiali presenti nello spazio fisico che i partecipanti occupano. Si può chiedere ad esempio di narrare qualcosa di sé a partire da un oggetto presente nello spazio in cui ci si trova. Si tratta di un modo discreto per «introdurre» gli altri nella dimensione fisica che si sta occupando, anche nell’intimità della propria casa.

Un’altra opzione, in cui si gioca invece con la dimensione spaziale determinata dal monitor, può essere quella di proporre un «giro di tavolo» in cui ognuno è tenuto a passare parola solo a chi occupa un riquadro in videochat confinante con il proprio. In questo modo è possibile condividere e confrontare la spazialità generata (per ognuno diversa) dal software, che regola il nostro sguardo sul gruppo e la nostra percezione «fisica» dello stesso.

Amplificare l’espressività dei partecipanti

In videochat i segnali non verbali si assottigliano. Per compensare questa mancanza un compito importante a cui può provvedere il formatore è quello di amplificare l’espressività dei partecipanti al gruppo.
Per fare questo si possono «esagerare» i segni di presenza e ascolto: il conduttore può esprimere con la voce e con il corpo che sta ascoltando con attenzione, oppure ripetere in modo più espressivo quello le parole dei partecipanti, sollecitando interazioni invitando i singoli a intervenire/rispondere.

Utilizzare applicazioni d’appoggio per attività collaborative

Per il lavoro collaborativo può essere importante utilizzare in parallelo alla videochat altre piattaforme di appoggio leggere e funzionali.
Le mie preferite sono i pad (istanze di etherpad.org come il già
citato framapad e tanti altri) oppure, lato software proprietario,
padlet (specialmente per file multimediali). Nelle nostre formazioni
in videochat li utilizziamo per raccogliere traccia delle condivisioni, produrre testi e poesie collettive e digital storytelling.

Poesia collettiva creata su pad durante un workshop in videochat, ne parlo qui

Utilizzare la musica in videochat

Non appena mi è possibile, mi piace aggiungere una “colonna sonora” ai miei incontri di formazione in videochat.
La musica può dare colore e calore ai momenti più vuoti, alle attese, al tempo dato ai partecipanti per eseguire un compito “sconnessi”. La musica unisce, riscalda; non di rado mi è capitato di assistere alla partenza spontanea di accenni di movimenti a ritmo che in poco tempo diventavano contagiosi, a rimarcare la partecipazione mente-corpo a un’esperienza comune.

Tecnicamente, dopo varie sperimentazioni, sono giunto alla conclusione
che da un punto di vista pratico il metodo migliore è avvicinare semplicemente una cassa al microfono; l’alternativa più «raffinata», quella di mixare internamente al computer la fonte sonora musicale e quella proveniente dal microfono, è possibile ma molto complessa e non sempre
i risultati sono soddisfacenti.

Gestualità condivise per comunicare in gruppo

Ci sono gruppi che per mantenere più conviviali e fisici i loro incontri in videochat hanno introdotto l’utilizzo di gesti non verbali, da affiancare alla parola. In questo modo l’inizio o la chiusura dell’incontro, oppure espressioni come “sono d’accordo!”, “non sono d’accordo!”, “voglio parlare”, “ti abbraccio” sono comunicati attraverso gesti convenzionali, un codice sviluppato dal gruppo.
Per questa comunicazione non verbale si possono utilizzare le mani, le braccia e altre parti del corpo riprese dalla telecamera.

Il formatore può incoraggiare il fatto che questi gesti divengano
tradizione del gruppo, includendone altri se nascono spontaneamente o se
ne si sente l’esigenza.

Se si vuole amplificare la dimensione corporea rispetto a quella
macchinica si può decidere di utilizzare il meno possibile (o non
utilizzare) emoticons e altre features della piattaforma.

Creare qualcosa di esteticamente bello insieme

Può essere funzionale, se la conformazione del gruppo lo permette,
portare i corpi al centro della scena per creare qualcosa di bello che
unisca, utilizzando attivazioni tipiche del lavoro teatrale in presenza.
Ad esempio: ognuno esprime come sta con un gesto, gli altri ripetono, si
propongono esercizi corporei da fare insieme, sincronizzati: dallo
stretching a far finta di “lavare i vetri”. Oppure si può proporre il
gioco dello specchio dividendo i partecipanti a coppie e chiedendo di
ripetere in camera i gesti del compagno. Sui social network durante il
periodo del lockdown si sono trovati tanti esempi di questi
esperimenti. Come sa chi ha sperimentato queste attivazioni, si tratta
di piccoli “attimi di bellezza”: la resa estetica, il divertimento nella
creazione di queste “coreografie” porta a vivere momenti di benessere
che uniscono il gruppo, fanno sentire parte di una stessa comunità,
anche se a distanza.

Escludere la nostra immagine dal monitor

Ci sono studi che sottolineano come uno dei motivi per cui la videochat risulta particolarmente stancante è il continuo confrontarci con la nostra immagine «specchiata» nel monitor. Siamo portati a controllare in continuazione come appariamo agli altri, anche inconsciamente, anche se decidiamo di impegnarci a non farlo. Un modo per allentare questa fatica è escludere il nostro «riquadro» da quelli sul nostro monitor, un’opzione possibile nella maggior parte di software di vedochat.

A me capita spesso di farlo; agli adolescenti invece, pur parlandogliene, so che difficilmente mi seguiranno, nella consapevolezza del fatto che il controllo della loro immagine sia per loro qualcosa per loro di molto importante, sebbene spesso fonte di sofferenza. A volte però qualcuno può decidere di provarci, e vivere un’esperienza diversa, sperimentare il rischio di una strana libertà.

Inventare adattamenti di strumenti che utilizziamo in presenza

Un suggerimento per mantenere il più possibile un setting “caldo” è di sperimentare quando possibile in videochat strumenti e
tecniche che utilizziamo in presenza, anche se necessiteranno di
adattamenti creativi. Ne abbiamo visto un esempio parlando di
sociometrie. Non abbandonare quindi il nostro patrimonio di conoscenze
di lavoro di gruppo in presenza ma dedicare tempo e immaginazione per
adattarlo alla nuova situazione senza farci troppo condizionare dai
“richiami” del software che spinge a un utilizzo standardizzato. Se si
ci si pone in modo creativo possono succedere cose molto interessanti:
ricordiamoci che anche on line si può chiedere di disegnare su carta, di
chiudere gli occhi, di scolpire con il nostro corpo un’emozione
. A
volte bastano piccoli espedienti per adattare un lavoro in presenza nel
suo corrispettivo funzionale all’on line.

Stabilire specifiche regole “di protezione” in videochat:

La videochat espone l’ immagine e la presenza personale in una modalità che può generare disagio, anche molto forte, è il caso ad esempio di molti adolescenti. All’Anno unico abbiamo deciso di porre regole a priori che potessero tutelare su questo fronte. Abbiamo così comunicato ai ragazzi che ognuno poteva scegliere se intervenire ai nostri incontri digitali:

1- con immagine e voce,

2- solo a voce tenendo spenta la telecamera,

3- tenendo spenta telecamera e microfono utilizzando solo la chat,

4- non utilizzando nemmeno la chat ma solamente come ascoltatori passivi (per quanto un ascoltatore non sia mai passivo…).

Si tratta di una scelta piuttosto in controtendenza, se pensiamo che, privilegiando la logica del controllo rispetto al benessere on line, moltissime scuola impongono ai propri alunni di mostrarsi in webcam.

Altre riflessioni su questo argomento le trovate qui

qui, con un gruppo particolarmente restio a mostrarsi in video, abbiamo giocato a creare originali avatar

Non è sempre funzionale utilizzare la chat di testo

Se come si è appena visto, in molti casi la chat di testo è utile, perchè permette di comunicare a chi è più restio a farlo attraverso altri canali che espongono maggiormente, in altre situazioni diviene un sovrabbondante strumento che aumenta il rumore e la dispersione dell’attenzione senza portare un significativo apporto comunicativo.

Ci sono gruppi, come gli attivisti per l’ambiente che sperimentano le
pratiche di “work that reconnect” che, cercando di creare anche negli
incontri on line momenti di forte connessione tra le persone e delle
persone con se stesse (e con il pianeta), nelle proprie sessioni
escludono categoricamente l’utilizzo della chat testuale nei loro incontri.

Sostenere la creazione di spazi protetti da cui connettersi

Uno dei problemi più grandi nel lavoro in videochat è l’interferenza
dell’ambiente fisico in cui i partecipanti si trovano nell’incontro: può
essere fonte di disturbo per via di rumori di fondo che entrano nel
microfono, ma anche imbarazzo, limitazione al comunicare in libertà. Si
possono suggerire al gruppo modalità per rendere più confortevole e
protetta la propria postazione fisica e virtuale da cui si partecipa.

ecco il mio »studio», lo ho raccontato più nel dettaglio qui

Possiamo accompagnare i partecipanti nella scelta di uno spazio il più
possibile appartato; durante il periodo di lockdown abbiamo
sperimentato che non c’è limite alla fantasia: abbiamo visto adolescenti
dell’Anno Unico chiusi in bagno per connettersi, oppure nell’automobile parcheggiata in garage, dichiarato “l’unico posto davvero tranquillo”.

Un aspetto che può mettere a disagio, oltre la presenza di persone che
“invadono la privacy” è il fatto che con la videochat gli altri
componenti del gruppo “entrano in casa nostra”. Possiamo non aver voglia
che si vedano i nostri ambienti domestici, per riservatezza o
semplicemente perché preferiamo separare, almeno simbolicamente, lo
spazio della casa da quello degli incontri pubblici. Possiamo suggerire
di allestire, con teli e qualsiasi altro materiale, un postazione ad
hoc
, un sorta di “micro studio televisivo” in casa; oppure possiamo
imparare, per le piattaforme che lo consentono, a modificare
digitalmente lo sfondo alle nostre spalle, o ancora utilizzare
applicazioni specifiche che creano graficamente un ambiente virtuale
diverso da quello in cui siamo immersi (a volte anche modificare la
nostra immagine). Questi artifici tecnici, anche se a volte sono
prodotti da società su cui abbiamo più di qualche perplessità e spesso
funzionano bene solo su dispositivi e reti di alto livello, possono
coadiuvare nell’invenzione di situazioni di gioco e di apprendimento
molto interessanti.

questo articolo è un estratto dal libro formare a distanza scritto con il gruppo di ricerca C.I.R.C.E. Qui (come in giro su questo blog) si trovano altri estratti.

Una postazione creativa per il lavoro educativo in videochat

Uno studio radio-televisivo fai-da-te per la formazione a distanza. A ognuno il suo, a sua misura. Questo è il mio…

Da quando ho creato la mia postazione fai-da-te per il mio lavoro in FAD (sia per condurre gruppi di adolescenti che di adulti) è cambiato qualcosa. Passare da portarsi il computer in un posto tranquillo qualsiasi della casa a prendere posizione nel proprio «studio radio-televisivo diy» può sembrare un cambiamento di poco conto, ma per me è significato un salto di qualità importante nelle conduzioni a distanza. Mi ha un po’ riappacificato con una dimensione che comunque soffro, mancandomi le possibilità didattiche del lavoro in presenza e l’intensità dell’incontro con i partecipanti. Ha contribuito a riaprire una dimensione di gioco e sperimentazione di cui avevo bisogno.

Uno spazio-soglia

Attraverso la FAD si entra nella casa degli altri, e gli altri entrano in casa tua. E’ uno degli aspetti che mi ha sempre messo a disagio, e sicuramente ha messo a disagio gli adolescenti con cui lavoro. Il problema non è necessariamente che abbiamo qualcosa da nascondere, ma la casa per ognuno resta uno spazio di intimità, si entra se invitati: in genere non si accolgono gli utenti del proprio lavoro a casa propria.
Creare allora uno spazio-soglia, che rimanga all’interno della propria abitazione ma sia allestito ad hoc per la vista dall’esterno, può essere una soluzione utile. Uno spazio dotato anche di espedienti tecnici per rendere le nostre “trasmissioni” il più possibile esperienze piacevoli (sebbene si possa realizzare anche a scuola, o in qualunque altro spazio disponibile)

Ok la teatralità, ma qui mi sono lasciato un pò andare…

Anzitutto la scenografia

La prima cosa per allestire uno studio fai-da-te è provvedere alla scenografia, “lo sfondo” in cui la nostra immagine sarà incorniciata. Una scenografia teatrale, “finta” come ogni scenografia, ma forse proprio per questo ancora più in grado di accogliere e proteggere parole e relazioni che sono autentiche, un cancello “spazio-temporale” appositamente progettato per l’incontro.

Io ho creato la scenografia che tengo alle mie spalle utilizzando un copriletto indiano, a fondo blu con fantasie “psichedeliche”, appeso all’armadio con mollette e scotch di carta (che regolarmente ogni tanto cedono). A questo sfondo aggiungo qualche oggetto, che di volta in volta cambia: il mio preferito è una grande spada da guerriero fantasy che ho costruito durante un laboratorio di falegnameria con i ragazzi diversi anni fa: crea curiosità, bilancia in modo giocoso il drappo un pò troppo da santone, e mi ricorda i momenti sereni in cui con i ragazzi in cascina abbiamo costruito le nostre armi.

Sempre in un’ottica teatrale ho aggiunto al set un faro RGB a led, che può cambiare il colore della luce che emana, lo avevo recuperato per il lavoro in presenza con i ragazzi; in mancanza d’altro continua a fare il suo servizio. Non lo uso sempre perché nelle dirette lunghe diventa impegnativo per gli occhi, ma contribuisce non poco a quell’effetto di “spazio altro” e di magia che cerco (la luce che preferisco è quella rossa).

Il microfono

Per il mio studio d.i.y. ho acquistato un microfono di discreta qualità (l’unica spesa fatta ad hoc), non una spesa esagerata ma sufficiente per far sentire chiara la mia voce, canale di comunicazione “caldo” per eccellenza nell’universo universo digitale di bits e di dots. Un altro vantaggio che porta avere un buon microfono è che posso anche allontanarmi dalla postazione, camminare per la stanza magari, in particolare quando sono in «modalità radiofonica» e le mie parole si sentono ancora bene. Non essere costretti nella stessa posizione è un valore aggiunto non da poco per un’attività statica e “blindata” come la formazione a distanza.

Due telecamere?

Nella stessa ottica di permettermi il movimento, mettendo in atto un’idea dell’amico Panos (che in realtà ha ispirato tutta questa «operazione studio fai-da-te» che sto raccontando) mi è capitato di utilizzare anche due telecamere, sempre con approccio iper-fai-da-te, aggiungendo quella del cellulare alla webcam del computer: appoggio lo smartphone su una mensola ad un pò di distanza in modo che riesca a produrre una sorta di ripresa panoramica; e così nel mio studio si guadagna in fatto di possibilità di movimento e tridimensionalità.

Anche un launchpad?

La musica e in generale i commenti sonori sono importanti nelle mie formazioni a distanza. Mi piace utilizzare frammenti di canzoni ed effetti di vario genere (esplosioni di bombe, sirene da sound system reggae, spari di pistole laser…) per sottolineare momenti particolari durante le sessioni di lavoro educativo. Sebbene si possa sfruttare tranquillamente un qualsiasi lettore di musica digitale, data la mia passione gli aggeggi tecnologici per giocare con la musica, ho riadattato all’evenienza un launchpad, in modo da «lanciare» i commenti sonori con più comodità e creatività. E’ stato un pò ritornare ai tempi (15 anni fa!) della web radio «clandestina» che gestivamo con amici, Radiowatta.

Personalizzare, creare con poco, ri-incantare

Ovviamente non ho raccontato tutto ciò auspicando che insegnanti o educatori seguano le stesse modalità. Le soluzioni che ho descritto sono molto personali, talvolta anche un modo mio per divertirmi un pò (lungi da me pensare che senza un launchpad non si possa fare creative formazioni on line…)
Sono forse le parole personalizzazione e creatività i concetti chiave: allestire uno spazio di confort e di gioco su misura per chi lo deve abitare e utilizzare come postazione di lavoro. Ognuno può mettere in campo le risorse che preferisce e che ha a disposizione: i propri oggetti preferiti, spazi, teli, cianfrusaglie più o meno tecnologiche.

È una dimensione di gioco che per coinvolgere i ragazzi deve coinvolgere e divertire prima di tutto noi, si tratta di un approccio D.I.Y. (Do It Yourself) un po’ punk e un po’ hacker: con poco, ri-inventando l’uso di strumenti e materiali già a disposizione, può nascere qualcosa di nuovo e di divertente che permette di resistere e costruire relazione (e portare un po’ di magia) in questi tempi inquieti.

questo articolo è un estratto dal libro formare a distanza scritto con il gruppo di ricerca C.I.R.C.E. Qui (come in giro su questo blog) si trovano altri estratti.

Organic FaD: Suggerimenti per una formazione a distanza critica, ecologica e libera

Il tentativo di riassumere cosa abbiamo imparato in questi due lunghi anni, per aprire riflessioni più ampie sul nostro rapporto con la tecnologia, in contesti educativi e non solo

L’inglese organic si traduce con l’italiano bio, ma il termine mantiene la radice organica, che rinvia all’organismo. Nella formazione a distanza siamo immersi in ambienti complessi che vorremmo spingere in una direzione più bio-organica. Abitare gli spazi digitali in maniera critica, libera, ecologica è una sfida dei nostri tempi.

Nel complesso riteniamo fondamentale limitare le interazioni automatiche e automatizzate con le macchine, per ampliare i margini di interazione non automatizzata. Non si tratta di contrapporre esseri umani e macchine ma di scegliere come costruire relazioni conviviali attraverso la messa a punto di pratiche e tecnologie appropriate. È quello che cerchiamo di fare con le attività di pedagogia hacker.

Di seguito riportiamo alcuni dei suggerimenti che sono emersi nelle
pagine del libro Formare a Distanza, riportate con i diversi link per chi volesse approfondire le diverse questioni.

De-sacralizzare la tecnologia, dialogarci, usarla e non esserne usati

Diffidare della tecnica “risolvitutto”

Le tecnologie industriali di massa arrivano fra noi con un portato
ideologico forte, anche se quasi mai esplicito. Il presupposto dell’ideologia tecnologica è semplice: ogni situazione è un problema da risolvere mediante una soluzione tecnica. Le piattaforme per l’insegnamento a distanza, ma anche le semplici videochat, condividono questo postulato.

Secondo questo paradigma educatori, insegnanti, formatori nelle
condizioni di dover lavorare a distanza devono “semplicemente” imparare
a utilizzare le app giuste, e ovviamente a usarle bene.
Automaticamente, quasi per magia, questo «semplice» utilizzo degli strumenti «giusti» risolverà il problema… della distanza, della didattica, della formazione e così via. Automagicamente!

Invece di abbandonarci alla procedura corretta, noi pensiamo invece che cercare di abitare il disagio, anche il disagio della distanza, facendo appello alle nostre risorse creative per conciliare le istanze pedagogiche per noi imprescindibili con un utilizzo consapevole degli strumenti tecnologici.

Rimanere connessi con le istanze pedagogiche per noi irrinunciabili, poi scegliere l’applicazione più appropriata

Il primo suggerimento – parrà banale ma abbiamo osservato non è per nulla scontato neanche nel mondo della scuola e dell’educazione – e che prima di accogliere acriticamente il default dell’applicazione che i colleghi ci hanno detto essere «comodissimo», o che «qui usano tutti» è bene fermarsi e problematizzare le possibilità. E’ fondamentale anzitutto ri-connetterci con la situazione di apprendimento che dobbiamo affrontare, i bisogni dei nostri ragazzi, i nostri valori pedagogici.
Le questioni da porsi devono essere: che tipo di relazione vogliamo mantenere con i ragazzi? Che tipo di ambiente di apprendimento vogliamo creare? Ci interessa un modello di didattica cooperativo o competitivo?
Quanto è importante per noi la dimensione riflessiva? Quella esperienziale?
Il nostro approccio si basa prevalentemente sulla dimensione cognitiva o anche su quella emotiva e immaginativa?

A seconda della risposta che daremo a queste domande orienteremo in modo diverso il nostro utilizzo di strumenti tecnologici, la loro scelta e la modalità di utilizzo.
Il rischio è che se invece partiamo dallo strumento e dalle sue regole: quello «che mi hanno detto funziona con i ragazzi» o «che mi ha proposto il mio collega smanettone”, sia poi lui a dettare la piega che prenderà il mio lavoro. Ricordiamoci che, in termini pedagogici, l’applicazione digitale non è strumento neutro, ma un elemento importante nella determinazione il setting. Vale nella DAD ma anche nell’utilizzo di qualsiasi tecnologia.
Porsi in questo modo all’inizio non sarà facile, dovremo imparare la fatica di «stare con il problema» come ci suggerisce Donna Haraway, vivremo un momento di «crisi» , ma una crisi che può essere generativa, che ci aiuterà a non snaturare ciò che è importante nel nostro lavoro. Noi la chiamiamo attitudine hacker perchè si tratta di porsi nei confronti della tecnologia in modo critico e creativo, desacralizzante anche, per usarla e non esserne (anche inconsapevolmente) usati.

“porsi in maniera iconclasta nei confronti delle piattaforme”,
artista sconosciuto

Un approccio del genere può tornare prezioso anche come occasione di riflessione sul nostro lavoro, perché, per re-inventarlo nella modalità on-line, o in generale nel digitale, siamo costretti a ricercarne il cuore, a riscoprire e ri-aggrapparci all’essenziale che muove il nostro agire.
Solo in questo modo a nostro avviso potranno succedere cose interessanti; potrà nascere qualcosa di importante perché sarà qualcosa che solo noi, nel nostro contesto situato, potremo contribuire a sviluppare. E’ una questione, ci insegnano gli hacker, di provare e riprovare, sperimentare, sbagliare, “imparare a disimparare”, e riscoprire il piacere che tutto ciò può lentamente può prendere forma.

in questo articolo racconto il mio personale momento di crisi all’indomani dell’inizio del primo lockdown che, nel tempo, ha aperto a nuove interessanti sperimentazioni.

Stiamo attenti al setting generato dalle applicazioni, alla “spinta gentile” (nudging)

Le apparecchiature tecniche (macchine, software, piattaforme ecc.) non
sono neutre, portatrici di un altrove fuori dal tempo e dallo spazio
valido per tutti, sempre e comunque. Tutto l’opposto: creano un
setting, sono portatrici di approcci epistemologici e pedagogici!

Nel momento in cui ci affidiamo in modo acritico all’applicazione, la piattaforma-macchina, in modo “gentile” e magari per noi inconsapevole, ci conduce nella sua direzione, crea un proprio setting, una situazione con regole e caratteristiche specifiche che potrebbe essere ben diversa da quella che riteniamo pedagogicamente valida.

Succede così che insegnanti in aula poco inclini alla valutazione rigida
siano guidati da Google Classroom a valutare attraverso verifiche a risposta chiusa, quiz in cui la componente riflessiva viene sacrificata a favore di quella cognitiva, mnemonica, prestazionale. Allo stesso modo educatori che hanno molta attenzione per la dimensione conviviale e cooperativa, spinti dall’urgenza di trovare «animazioni on line pronte all’uso» hanno privilegiato nella loro attività a contestchallenge, produzione di «simpatici meme» che potessero funzionare bene con il gioco dei like dei social network, privilegiando ambienti educativi digitali lontani dai propri intenti originari. Non si tratta a priori di squalificare questa o quella applicazione, si tratta di utilizzare con consapevolezza.

google classroom e la «spinta gentile» verso una valutazione fortemente quantificata

In questo senso accade spesso che più impariamo ad «usare bene i software» e più ci uniformiamo alla loro «spinta gentile». È una forma di conformismo, o meglio di mutuo condizionamento fra umani e macchine.

È allora fondamentale essere consapevoli della direzione in cui ci induce il
“piano inclinato” della piattaforma, il suo «demone» come in C.I.R.C.E. ci piace definirlo, che ha caratteristiche specifiche, interagisce con le nostre debolezze, inostri punti di forza e il nostro carattere. Più conosciamo noi stessi e la tecnologia più saremo in grado di attivare le dovute contromisure.

I formatori creativi non rinnegano le loro competenze nel digitale, ma le riadattano con un approccio originale e “do it yourself”

Per riuscire in questa sfida è importante ricordarci che molto della nostra esperienza e delle competenze che abbiamo sviluppato possono essere utili, interessanti, divertenti anche nel digitale. Obbligati alla formazione a distanza non è il caso di accantonare queste risorse, come se fossimo in un’altra dimensione, fuori da noi stessi.
Come formatori appassionati non possiamo che ripartire da quello che, per la nostra esperienza, riteniamo essenziale nel rapporto educativo/formativo e dalla nostra creatività. 

Dialogare e, perché no, scontrarsi e litigare con le macchine è un presupposto chiave per raggiungere che riteniamo importante che, vale la pena ricordarlo, non è portare a casa un’attività stilosa, ma la crescita e l’apprendimento significativo del ragazzo.

È fondamentale provare ri-inventare il proprio lavoro senza intestardirsi nel conservare la forma e non la sostanza.
Durante i mesi di emergenza del primo lockdown abbiamo visto riportate on line situazioni didattiche impensabili prima: immaginazioni guidate, esercizi teatrali, coreografie di danza, laboratori di cucina. Nessuno vuole negare ciò che, costretti, si va a perdere, ma queste sperimentazioni hanno generato un know how in continua crescita, sicuramente utile anche quando il lavoro a distanza non sarà più imposto ma potrà rientrare nel novero delle scelte in situazioni particolari in cui altre vie non sono percorribili.

Ri-connettersi con i ragazzi

E’ scontato ripetere che la relazione, tra pari e con l’adulto, è fondamentale nel processo di crescita e di apprendimento, e nei periodi di distanza forzata ciò emerge in modo ancora più esplicito. Non sembra però altrettanto immediata la consapevolezza che curare la relazione anche nella dimensione a distanza (o in quella mista, blanded) è allora ciò da cui non si può prescindere, e che ciò va perseguito sfruttando tutti gli spazi percorribili (by any means necessary, diceva qualcuno).

accendere fuochi di bivacco nel digitale

Dedicare tempo ed energie nei momenti in presenza per costruire fiducia con i formatori e tra i componenti del gruppo

I gruppi che hanno funzionato meglio a distanza durante il lockdown potevano basarsi su solide relazioni costruite in presenza.
Il primo suggerimento su questo fronte può allora essere messo in atto fuori dal digitale: quando un percorso è progettato in modalità mista, oppure quando rischia di subire lunghi periodi solo on line per cause di forza maggiore, è essenziale sfruttare qualsiasi momento di incontro fisico per curare la costruzione di fiducia, affiatamento, conoscenza reciproca, relazione autentica e significativa tra i componenti del gruppo e con il formatore.
Ci sono tante modalità e specifiche attivazioni che ci possono aiutare a questo scopo. E’ importante avere la consapevolezza che non si tratta di perdita di tempo, anche rispetto all’apprendimento degli specifici contenuti, è un investimento che rivelerà tutta la sua forza generativa. Una consapevolezza questa che se da una parte è già patrimonio dei servizi educativi, lo è molto meno nella scuola in cui, in quest’ultimo anno «a singhiozzo», si sarebbe probabilmente potuto sfruttare molto di più i momenti di presenza a questo scopo, piuttosto che, come è spesso accaduto, caricarli solo di contenuti nell’ansia di «recuperare il programma».

una consapevolezza che vale anche per il futuro

Questo suggerimento può rivelarsi utile in futuro per chi lavora con gruppi che annoverano componenti soliti a lunghi periodi di assenza, come i ragazzi a rischio di ritiro sociale. Curare in modo particolare la costruzione della relazione con loro nei momenti di presenza potrà andare a sostenere la continuità della relazione e del lavoro formativo in quelli in cui la «crisi» si fa più acuta, in cui l’adolescente non riuscirà a frequentare la scuola o il servizio e si è costretti ad attivare un lavoro formativo a distanza.

La cura del legame sociale è tipica delle comunità resilienti; è una
forma di mutuo appoggio, a ben vedere: nel momento in cui accade
l’inaspettato, la “catastrofe”… la collaborazione sperimentata e la
vicinanza esistente tra le persone diventa la prima leva per affrontare
la situazione di crisi.

Per lavorare invece sulla relazione a distanza ci sono poi una serie di elementi da tenere presente, ne proviamo ad elencare alcune nei paragrafi che seguono

La cura della conduzione in videochat

La videochat è un contesto in cui non è immediato creare un clima di vicinanza e convivialità, importante per l’apprendimento significativo. E’ fondamentale allora curare con specifici accorgimenti metodologici e tecnici la conduzione per rendere questa esperienza il più possibile generativa.
Il nostro suggerimento è riportare in videochat specifiche tecniche che sostengano la creazione di relazioni intersoggettive, a partire dal sostenere dinamiche di orizzontalità e simmetria. Strumenti quali le «catene» e le sociometrie possono essere un buon punto di partenza, come è stato approfondito qui.

E’ stato inoltre sperimentato che permettere al ragazzo di scegliere, all’interno della stessa videochat, la modalità di presenza e comunicativa a lui più congeniale lo porti a sentirsi maggiormente a suo agio e disponibile all’apprendimento. L’idea è premettere a priori la possibilità di utilizzare la videochat nell’opzione audio-video oppure solo audio, oppure di comunicare solo la chat di testo.
Si tratta di un approccio che forse per molti può apparire controintuitivo, tanto che spesso nelle scuole si è ricorsi all’obbligo di mostrarsi in webcam, una soluzione che ha messo a disagio un alto numero di adolescenti, contribuendo in diversi casi a fenomeni di dispersione e ghosting. Il discorso va a toccare diversi temi di riflessione, primo fra tutti l’aspetto problematico e ansiogeno che gli adolescenti, e in particolare quelli cresciuti in tempi più recenti, hanno con la gestione con la propria immagine e la sua riproduzione mediata. Permettergli di «rifugiarsi» allo sguardo dell’altro diviene per loro un’opzione molto importante per abitare con serenità nel contesto di apprendimento.

Trovi riflessioni e pratiche su questo argomento ancora qui

Curare il rapporto individuale adulto-ragazzo

Nelle situazioni di gruppo in presenza c’è sempre la possibilità di comunicare individualmente tra le persone, e le occasioni per il formatore di relazionarsi individualmente con l’allievo non mancano: ci sono i momenti destrutturati come gli intervalli in cui ci si può incontrare e scambiare qualche parola, ma c’è anche la possibilità di incrociare sguardi in aula, indirizzarsi messaggi più o meno verbali durante l’attività, anche in mezzo a tante persone. Nelle interazioni digitali tutto questo diviene molto più difficile se non impossibile. Ecco allora un paio di semplici possibilità che possono rivelarsi utili per mantenere, in parallelo alla videochat, una relazione individuale con i ragazzi:

  • affiancare a momenti di videochat in gruppo incontri individuali a distanza a cadenza regolare: un lavoro faticoso ma che, come viene raccontato qui, si è rivelato di fondamentale importanza per chi lo ha sperimentato, in particolare nel lavoro con i ragazzi a maggiore rischio dispersione. Può essere un altro momento in videochat 1 a 1, anche se la situazione più funzionale in molti casi si riveli l’ «antica» telefonata.
  • inviare messaggi individuali periodici con contenuti molto personalizzati. Possono essere restituzioni riguardo attività scolastiche o animative oppure semplicemente messaggi con il solo fine di creare un contatto, il cui significato sotteso è «ci tengo a te in quanto te». Spesso non è neanche necessario che abbiano una risposta, altre aprono degli scambi molto importanti, per costruire relazione, per far emergere problemi.

Attraverso la relazione individuale con i ragazzi mantenuta a distanza è possibile inoltre raccogliere elementi sull’esperienza che i singoli ragazzi stanno vivendo nei propri contesti, elementi che risultano molto utili anche per il lavoro nell’aula virtuale: se il conduttore conosce gli stati d’animo e i vissuti individuali dei ragazzi può trovare il modo per relazionarsi a loro nel gruppo nel modo più appropriato, e potrà, se lo ritiene opportuno e con il permesso dei singoli, portare al gruppo con sensibilità e delicatezza alcuni temi individuali.

Trovare modalità inconsuete per far sentire che siamo vicini ai ragazzi

Inviare messaggi o fare colloqui individuali è quindi un modo per far sentire la nostra vicinanza ai ragazzi, al di là del mandato formale dell’apprendimento in una specifica disciplina.
Un ulteriore modo per rafforzare questo messaggio è elargire piccoli
«regali» non dovuti. Ad esempio all’Anno Unico (si veda qui) gli adolescenti hanno molto apprezzato la cura con cui il materiale che loro producevano a casa veniva valorizzato, impaginato, trasformato, remixato dai formatori senza che rientrasse nei loro “doveri formativi”. Questo ha contribuito a creare maggiore affiatamento e connessione anche a distanza. Anche quando come ora non si è obbligati ad una prolungata distanza forzata, ma si condivide una situazione di disagio, il regalo, l’eccedenza possono essere un elemento prezioso per creare legami e un clima di supporto reciproco, al di là dei ruoli.

nella parte finale di questo articolo si parla di questo

Mettere al centro la persona che apprende. Quali necessità ha?
Si apprende a distanza solo se si è fortemente motivati a farlo

Sul fronte dei contenuti, apprendere a distanza richiede grande motivazione; esserci nel digitale è faticoso, i discenti ci sono se sentono che ne vale la pena.

Può essere allora utile selezionare le attività da proporre in line a partire da quelle che possano rispondere alle loro urgenze, desideri, che li aiutino a costruire un senso rispetto al vissuto personale, che non siano percepite solo come un tentativo di «riempirgli il tempo», oppure di reiterare in modo meccanico e asettico modalità e contenuti molto distanti da loro.

La questione può essere riassunta così: “Siamo lontani, ma se sentiamo che ci sono valide ragioni per esserci (al di là del voto), noi ragazzi ci siamo

Racconto qui la mia esperienza

Limitiamo la presenza in ambienti digitali. È anche una questione di ecologia: ambientale, mentale, relazionale

Un cosa certa è che il ritmo della macchina non è il ritmo dell’umano.
Perciò dobbiamo imparare a stare con cautela nello spazio della
macchina, in particolare se gestito da piattaforme di massa. I corpi
umani soffrono le velocità di sollecitazione del digitale di massa, la
quantità di stimoli compressa e incessante. In un’epoca in cui siamo
sempre connessi, in particolare gli adolescenti, è molto importante
riuscire a valorizzare nel lavoro educativo a distanza anche i momenti
di «disconnessione», di allontanamento dagli schermi.

Ecco due piccoli hack possibili per contenere i tempi di video, rivolti
in particolare alla formazione con adolescenti ma applicabili in maniera più generale.

Innanzitutto, è sano fare videochat brevi. Un’idea può essere fare un
breve momento in diretta, dare una consegna, un compito, e poi
disconnettersi per riconnettersi più tardi per un momento di
restituzione. Questo aiuta anche a dare un “ritmo” al tempo dei ragazzi senza “stordirli” eccessivamente.

Ancora, è possibile, durante una sessione di videochat, proporre
momenti in cui ognuno si allontana dal monitor per ascoltare solo la
voce di chi sta parlando
, oppure per fare brevi attività unplugged, di
fatto disconnessi anche se con la connessione attiva.

Rarefare i momenti on line è anche utile per ridurre il digital
divide: 
chi non ha dispositivi adeguati e connessioni veloci avvertirà
maggior fatica nel corso di attività online prolungate. Ancora una volta
il mondo connesso tende ad amplificare le diseguaglianze preesistenti
nel mondo disconnesso.

Attenzione! Passare meno tempo collegati on line non vuol dire che le
menti, corpi, «anime» siano meno connesse. Fondamentale è la qualità
della relazione, non la quantità dei minuti-monitor!
Altrimenti passa ancora l’idea del setting che quantifica, che ci comunica automaticamente
quanto tempo siamo stati connessi come se il tanto fosse una garanzia di
riuscita.

Valorizzare l’interazione asincrona.

È utile ridurre i momenti in chat e invece valorizzare i momenti di
interazione asincrona. Nella formazione tradizionale si riducono a
essere “i compiti a casa” ma, ispirandoci all’approccio delle flipped
classroom
, possiamo valorizzare il momento di incontro individuale con
stimoli di apprendimento, che in seguito viene socializzato e
rielaborato in gruppo e con il formatore (il momento di interazione
sincrona). Privilegiare questa direzione significa sfruttare il vincolo
della distanza per sostenere l’autonomia degli studenti e invitarli allo
sforzo di confrontarsi direttamente con i temi di apprendimento,
evitando la postura passiva che spesso è generata dalla lezione
frontale.

L’importanza di abbassare il rumore

Limitiamo al massimo le notifiche. Ad ogni file, messaggio, contributo che inviamo nel digitale corrisponde una notifica: cerchiamo di essere responsabili del numero minore possibile. Le notifiche sono quasi
letteralmente “spilli”, che pungono la pelle, stimolano il cervello e
mantengono uno stato di tensione continua, una sorta di attenzione che
non genera profondità e intensità ma stress performativo. Nelle
situazioni di stress l’apprendimento significativo è inficiato in
maniera sostanziale.

Cerchiamo di utilizzare il un minor numero di canali nelle situazioni multimediale di apprendimento, allo scopo di ridurre il numero di stimoli e
quindi favorire la focalizzazione dell’attenzione. Ad esempio in videochat si può decidere tutti di non utilizzare la chat testuale, o di chiudere
la telecamera e quindi togliere lo stimolo del monitor generando un’atmosfera «radiofonica».

Non esistono regole generali valide per tutti e sempre, ma di certo la
scrittura della chat non è meno emotivamente coinvolgente del video:
anzi, se l’obiettivo è creare intimità e confidenza, la chat può svolgere un ruolo fondamentale.

Il canale “caldo” più sottovalutato: la voce

È importante ricordarsi che la voce è un medium più caldo del video.
Non significa che emotivamente le immagini sono meno coinvolgenti, ma
che la voce è più efficace nel momento in cui vogliamo creare intimità,
confidenza (così come le immagini in bianco e nero sono più calde di
quelle a colori): quando dobbiamo confidare un segreto preferiamo farlo
in penombra, in un “setting notturno”. Nell’oscurità i contorni delle immagini si sfumano, si smussano i confini e questo ambiente ci protegge e ci fa sentire più vicini. Tradotto in una prospettiva di educazione a distanza, può essere importante valorizzare la radio (in diretta), il podcast (una registrazione che si ascolta in differita), ma anche semplicemente rivalutare la “vecchia” telefonata, a tu per tu, “solo” voce.

A questo proposito possedere un microfono discreto può essere importante, più della risoluzione del video. Se vogliamo fare un salto di qualità tecnica, ecco un buon investimento: microfoni adeguati, direzionali se servono per portare una singola voce, ambientali e panoramici se devono restituire più voci e suoni. Anche con un computer portatile un microfono usb esterno può fare la differenza fra una sessione disturbata e disturbante e un’esperienza più gradevole.

Relazionarsi con elasticità, e se serve trasgredire, le aspettative istituzionali

Marta Milani nel suo racconto sulla re-invenzione a distanza dei corsi
di italiano L2 (Clinamen: italiano senza confino) ricorda che il fatto
di essere all’esterno di un quadro istituzionale determini per loro “una
situazione fortemente privilegiata”. Non possono certo dire lo stesso
gli insegnanti della scuola: l’istituzione non transige al rispetto del
programma, e, anche ai tempi di diretta in videochat, rimane aggrappata alle classiche modalità valutative, rigidamente programmate, quantificate.

I vincoli che attanagliano chi è costretto a fare formazione a distanza
però possono però essere anche auto-imposti: non pochi formatori ed
educatori si sentono responsabili della replicazione di modelli più o
meno calati dall’alto tanto che faticano a fare un passo indietro
rispetto a quelli, anche nelle situazioni di emergenza.

Per una formazione a distanza il più possibile funzionale, è invece
spesso imprescindibile la trasgressione a questi vincoli, esterni e/o
autoindotti, e prendere le distanze dal «dover fare» e re-impostare le
proprie coordinate.
Sono diversi i tempi di lavoro in situazione
sincrona (condivisione delle stesso spazio-tempo e focus di
attenzione), la condizione emotiva, la possibilità di utilizzare
strumenti didattici; quindi anche gli obiettivi e le priorità devono
essere diversi.

La macchina burocratica impone 5 ore al giorno di formazione in videochat ma lo ritenete una follia? Connettetevi, lasciate aperto e il log e poi inventate modalità di lavoro alternative, come riportato nei paragrafi appena precedenti.

Non vuol dire che si debba per forza «puntare in basso» rispetto i contenuti ma re-impostare sì, anche senza chiedere il permesso. Dobbiamo ripartire
dall’essenziale, da quello che maggiormente puoi dare alle persone verso
cui hai responsabilità educative, al di là di quanto scritto
precedentemente sulla carta. Se vogliamo creare dobbiamo agire veloci,
anche un po’ da clandestini svicolando tra le griglie dell’istituzione,
e delle nostre rigidità.

Utilizzare il più possibile F/LOSS (Free/Libre Open Source Software)

Le piattaforme e gli strumenti digitali non sono tutti uguali. Quelli
che prediligiamo sono spesso leggeri, poco esosi in termini di
risorse; sono molteplici, perché tendono a far bene una cosa sola e
non a proporsi come soluzione unica per qualsiasi necessità; spesso non
ci chiedono nessun login e nessuna password
, e quando accade sappiamo
dove stiamo entrando, a casa di chi siamo quando accediamo a un
determinato servizio; non raccolgono dati e metadati dalle nostre
attività per profilarci e propinarci pubblicità e prodotti personalizzati.

Nel libro «Formare a distanza» ritornano spesso citati NextcloudJitsiEtherpad, ma ne esistono tanti altri. Sono F/LOSS, cioè programmi che si possono modificare per contribuire ad ampliare le libertà personali e collettivi attraverso il digitale. Di certo non sono gratis: costano tempo ed energia per imparare ad averci a che fare, talvolta denaro se non siamo capaci di gestirli da soli. Perché se il software è gratuito, la merce
siamo noi
, con le nostri gusti, le nostre abitudini, le nostre relazioni.

Questo è tanto più vero per le piattaforme di e-learning: come spiega
Graffio (nella sezione Didattica dello stesso testo, questo il link), il metodo di insegnamento viene piegato dalle piattaforme proprietarie, proprio perché non sono strumenti neutri al nostro servizio, ma portatrici di interessi economici in primo luogo.
Per non parlare del fatto che, se immagazzinano dati personali degli
utenti negli Stati Uniti, non rispettano la legislazione vigente in
tutta Europa in fatto di privacy (GDPR), come dichiarato dalla Corte di
giustizia europea.

Una provocazione per chiudere: Formazione a distanza senza il digitale?

Chiudiamo questa “introduzione” con una provocazione: è possibile fare
formazione a distanza senza il digitale?

inviare materiale didattico attraverso qualche amico volatile?

Alcuni docenti, quando le scuole sono state chiuse a fine febbraio ma
non era ancora scattato il lockdown, hanno fatto il giro delle
abitazioni dei loro studenti per portagli “pacchi” con il materiale per
il lavoro a distanza, o lettere per comunicare la propria vicinanza e
dare qualche consiglio su come vivere quel momento difficile.

Con questa suggestione non vogliamo sicuramente sminuire il ruolo
fondamentale che il digitale ha avuto e sta avendo in un periodo così
difficile. Vogliamo solo ricordare che il digitale non deve annullare la
nostra saggezza e creatività analogica, è una presenza (spesso utile) in
un mondo che è molto di più. Per noi essere hacker è proprio questo,
saperci porre con le macchine in modo creativo senza esserne usati,
senza che divenga il quadrato di gioco totalizzante che soffoca la
nostra generatività.

questo articolo, scritto con CARLO MILANI, è un estratto dal libro formare a distanza scritto con il gruppo di ricerca C.I.R.C.E. Qui (come in giro su questo blog) si trovano altri estratti.