Personaggi fantastici per urgenze reali

Quando i personaggi di film, serie tv, anime, manga divengono stimolo per porsi domande importanti sul mondo, la vita, se stessi

Il valore degli immaginari fantastici e inquietanti

Tempo fa suggerivo, nel manifesto della pedagogia nerd , di riscoprire il valore della narrativa fantastica nel lavoro con gli adolescenti: romanzi, serie, film, fumetti di fantascienza, fantasy, weird, fan fiction, anime, manga – quali risorse di riflessione su sé stessi e sul mondo, di apprendimento e crescita. Sottolineavo l’importanza del ruolo dell’adulto come facilitatore nell’emersione dei temi, delle domande, dei risvolti generativi presenti in questi immaginari. Un intento che ci richiede di imparare a convivere con creature poco raccomandabili: demoni, spettri, mostruosità di ogni sorta, immaginari imprescindibili che la modernità e l’ideologia della tecnica ha cercato in ogni modo di rimuovere, o di trasformare solo in innocuo entertainment.

Lo spazio educativo può essere allora il luogo dove riscoprire questa dimensione, per i ragazzi, per noi, per un mondo che ne ha sempre più bisogno.

In particolare per chiunque lavori con gli adolescenti è fondamentale attraversare questi territori, e magari riuscire anche a coglierne il fascino estetico, vitale, d’intesità. L’adolescenza è la fase della vita in cui, più di ogni altra, si sente l’urgenza di esplorare i limiti, l’estremo, l’inquietante, il malvagio anche, dimensioni che nell’esperienza adulta sono affrontate con maggiore misura e integrazione, ma spesso anche sottoposte ad una (pseudo)pacificante opera di rimozione. Si tratta di universi che hanno un valore educativo per i nostri ragazzi, ma lo possono avere allora anche per noi: il nostro rischio di adulti è accomodarci nella rimozione dell’ambivalenza, della radicalità, delle voragini.

I personaggi “interessanti”

Quello che propongo è un lavoro con poche ma importanti coordinate, che si può proporre in gruppi educativi o di cura, e al limite anche in contesti di lavoro individuale.

La consegna consiste nel chiedere ai ragazzi di individuare un personaggio fantastico presente in un fumetto, un film, una serie, un libro a cui in qualche modo sono legati; deve essere una figura che ritengono interessante, che sollecita questioni su cui riflettere. Il suo ruolo nella storia può essere di protagonista o antagonista, o anche essere un personaggio secondario. Da notare che la richiesta non è di individuare “un personaggio che ti rappresenti” ma che è “interessante”. Non che il primo tipo di consegna non sia da utilizzare, ma il secondo nella mia esperienza è sempre stato più generativo: apre, conferisce ai ragazzi l’opzione di dichiarare o meno di identificarsi in lui, lascia loro la possibilità di proteggersi, e anche di portare figure in cui non sentono di rispecchiarsi, ma li stimolano su particolari questioni, dilemmi, domande.

Negli anni, attraverso questa attività, ho incontrato con loro centinaia di personaggi, alcuni molto famosi, altri di nicchia, tanti di cui non avevo mai sentito parlare; in diversi casi si sono aperte riflessioni profonde, sguardi nuovi noi stessi e sull’epoca che abitiamo, temi e stimoli che sono stati poi portati avanti al di là dei confini della specifica attività.

La scelta personaggio

Di solito avvio il lavoro con un’immaginazione guidata: un sottofondo musicale evocativo contribuisce a costruire l’atmosfera (utilizzo principalmente una selezione di colonne sonore di film fantasy..) stimolo i ragazzi a rievocare i fumetti, gli anime, le serie, i film che sono stati significativi per loro, in questo momento della vita o in passato, e di focalizzarsi sui personaggi che sono rimasti più vividi nella memoria. Chiedo quindi di sceglierne uno che per qualche ragione ritengono significativo, che può essere utile portare nel contesto del gruppo per aprire riflessioni..

Quando tutti hanno individuato il proprio personaggio ci si prende del tempo per esplorarlo, attraverso un lavoro che può essere anche scritto (la richiesta di scrivere aiuta l’adolescente a “stare” nella consegna, lo accompagna ad esplorare evitando la dispersione).

Ecco una possibilità di traccia:
– Scrivi il nome di un personaggio di fiction interessante, significativo, che può aprire riflessioni, o che semplicemente ti ha intrigato
– cerca in rete una sua immagine rappresentativa
– riporta la sua vicenda in poche righe
– prova ad individuare qualche tema, domanda, riflessione che il personaggio di suggerisce
– racconta un aneddoto, una vicenda interessante che vede coinvolto il personaggio e magari solleva qualcuno dei temi che hai individuato
– se è disponibile aggiungi un link video, in cui è possibile assistere alla vicenda di cui hai parlato prima o, in alternativa, qualche altro momento significativo

Non è detto che la consegna sia per tutti chiara fin da subito, si può allora fare qualche esempio: io a seconda dei casi utilizzo personaggi già trattati con altri gruppi o ne porto uno mio.

Le domande

Paulo Freire

il focus dell’attività è concentrarsi sull’emersione delle domande, dei problemi, dei dilemmi che il personaggio porta. E’ molto facile scivolare sul piano inclinato della ricerca di ricette e chiedere subito “cosa ci insegna il personaggio?” “quale messaggio ci dà?” “cosa impariamo dalla sua vicenda?”; non che stimoli del genere siano vietati, o che non possano essere generativi, ma lo sguardo che propongo pone l’attenzione su un altro piano. L’obiettivo è quello di esplicitare, e problematizzare, come ci ha insegnato Paulo Freire, temi importanti per i ragazzi ed esplorarli insieme, senza la fretta di voler arrivare ad avventate conclusioni.

di seguito il racconto di una sessione:

…dopo una breve pausa chiedo chi ha voglia di iniziare la condivisione, introducendoci il suo personaggio.

HARLEY QUEEN

Si propone Valeria che ci vuole parlare della bad girl del film Suicide Squad: Harley Queen.

Ci racconta che era la dottoressa che si prendeva cura di Joker; col tempo si era innamorata di lui al punto che, per dimostrargli quanto lo amava, arriva a cedere alla sua richiesta folle di buttarsi in una vasca piena di acido. Quando ne riemerge si è trasformata, è diventata pazza!, dice Valeria.
Ci aveva fornito il link youtube a quella scena, e la guardiamo insieme. E’ molto forte e spettacolare.

Ci dice che è una scena che la ha colpita molto. Secondo lei la domanda principale su cui tutto ciò fa riflettere è:

E’ giusto per amore fare qualsiasi cosa? Qual’è il limite? Come ci si comporta in una situazione di amore distruttivo?

Emerge così dai ragazzi il concetto di “amore tossico”. Io chiedo loro se volevano provare a inventare qualche esempio per indagare meglio questo fenomeno: “E’ difficile inventare”, dice Sara, “è quando sei così preso da una persona che per lui faresti ogni cosa, anche se non è da te, anche se a volte ti fa stare male e non ti senti più te stessa”. Valeria sottolinea quanto sia difficile uscirne, perché si vive scissi tra il desiderio di stare con l’altro e la sofferenza che comporta, che invece “farebbe scappare lontano”.
Alessandro ipotizza che in questi casi possa essere utile parlarne con gli amici, “…non è facile, sono cose private, ci si vergogna” incalza Alberto, “e poi gli adulti no, non vanno coinvolti, che rischiano di intromettersi e fare ancora più casino”. Io aggiungo che forse, tenendo conto di quanto dice Alessandro, in generale è importante coinvolgere qualcuno di cui ci si fida.
Il tema è molto ampio, non lo si può liquidare facilmente, me lo annoto, troveremo insieme il modo migliore per tornarci. Laura, amica di Valeria, non dice nulla ma gli si legge in volto che è molto coinvolta; io immagino, ricordando anche sue mezze frasi buttate lì in altre occasioni, che forse sta vivendo qualcosa di simile, ma tengo per me il pensiero (spoiler: sarà lei a esplicitarlo nel momento finale delle risonanze).

TONY MONTANA

TONY MONTANA

Il personaggio di Alessandro non arriva invece dal mondo fantasy, è Tony Montana, protagonista del film Scarface, interpretato da Al Pacino. Molti compagni fanno cenno di approvazione, un paio dicono di averlo visto più di una volta: “un classico!” affermano.
Alessandro ci racconta che si tratta di un criminale cubano immigrato negli USA che inizia la sua carriera come scagnozzo di un narcotrafficante, fino a diventare il vice capo dell’organizzazione. Inizia a quel punto una guerra di potere con il capo Frank Lopez, che vince uccidendolo. Diventa quindi modo uno dei più importanti leader dello spaccio.
Il momento che mi ha colpito è quando lui è da solo nella vasca da bagno e riflette” ci dice sicuro, “Tony è molto convinto di sé e del suo potere”. La scena è on line e propongo di guardarla subito, si tratta di un breve monologo, Tony Montana è nella sua Jacuzi, pregiata vasca idromassaggio, da lì inveisce:

“Ma vaffanculo! Chi ha costruito tutto questo? Io…. Di chi cazzo ti puoi fidare? Di nessuno! Potete andare tutti al diavolo… io non ho bisogno di nessuno… non mi serve nulla, non mi serve niente”.
Vorrei intervenire subito, prendere le distanze, magari in modo ironico.. è un discorso che faccio proprio fatica ad accogliere, molto “trap”: carico di individualismo, culto del successo, ostentazione del lusso; mi mordo però la lingua e gli chiedo se ha voglia di farci un commento.
Alessandro ci spiega che quello che gli piace di quella scena è l’autonomia, la fierezza di Tony Montana di avercela fatta da solo. “…anch’io sono molto autonomo” ci dice dopo un momento di silenzio riflessivo, “ho dovuto esserlo, fin da quando ero piccolo nella mia famiglia c’erano casini e dovevi per forza sbrigartela da solo, mio padre era sempre occupato. Anche ora me la sbrigo da solo, ancora di più anzi, faccio qualche lavoretto per non chiedere niente ai miei… Sono orgoglioso di questo!”.
Usa proprio la parola “orgoglioso”: ecco che cosa ci teneva a raccontarci, bisognava dargli (e darci) tempo.
Molti compagni annuiscono. Il desiderio di autonomia è sempre emerso in modo molto deciso all’Anno Unico, è una tensione caratteristica dell’adolescenza ma ancora di più di questi ragazzi per i quali prendere materialmente le distanze da contesti famigliari faticosi è spesso un’urgenza.

Ci segniamo le domande:
Cosa vuol dire essere autonomo? Come si può esserlo oggi in un mondo così precario?

JOKER

Ora tocca ad Alberto, che ci parla di Joker. “È un personaggio criminale travestito da clown” aveva scritto di lui “è diventato quello che è cadendo in un fiume pieno di rifiuti chimici, e uscendo da questo fiume si trasforma in Joker” (il riferimento è al film di Todd Philips del 2019) “secondo me fa riflettere sulla vendetta”.
Alberto ci parla del desiderio di vendetta e rivalsa che abita questo personaggio, un sentimento che “accende” molto la sensibilità del gruppo, e che trova risonanze con altri personaggi: Riccardo osserva che in fondo anche il suo acerrimo nemico Batman è animato dallo stesso sentimento, che lui combatte i criminali con l’atteggiamento di chi deve continuare a vendicarsi di un trauma subito, dopo che proprio un malvivente ha ucciso i suoi genitori. In un intreccio di voci il gruppo ipotizza quindi che Batman e Joker non siano poi così tanto diversi: “la vendetta è un’energia folle che permette a entrambi di andare avanti!” aggiunge qualcuno con enfasi. Maria, psicologa e collega formatrice che in quel momento era in aula con me, valorizza l’intuizione, perfettamente in linea con la teoria psi: “E’ proprio così… lo dicono anche i libroni di psicologia, che cosa raffinata che avete portato.. la vendetta è una modalità per relazionarsi con la sofferenza, per vincere l’impotenza, che, pur non risolvendo la situazione problematica conferisce all’individuo la sensazione di reagire“. I ragazzi sono molto attenti.

A proposito di convergenze tra Batman e Joker a me in quel momento viene in mente la scena dell’interrogatorio nel film il Cavaliere oscuro di Christopher Nolan, in cui questi punti di contatto tra il super-eroe e il suo acerrimo nemico si esplicitano in un dialogo memorabile. Propongo di vedercelo insieme.

Al termine della visione Giulio interviene con un’affermazione che non lascia spazio a repliche, e sorprende per acutezza “è vero che sono sono simili, ma Joker è sicuramente più consapevole di Batman!”, ci dice. “Le persone danneggiate sono pericolose quando sono sole” interviene Andrea, in un escalation di perle di saggezza, “il dolore non è sempre nelle lacrime, a volte è presente anche in un sorriso” aggiunge Emanuele. Mi scrivo tutto, non mi aspettavo questa intensità in particolare da parte di alcuni di loro, spesso avidi di contributi. Il tema li ha toccati molto.

Chiudiamo su Joker annotandoci tante domande, tra cui:

Cos’è la vendetta? C’è qualcosa di alternativo per reggere la sofferenza? C’è un modo per evitare di caderci?

OBITO UCHIHA

Il personaggio di Giulio è Obito Uchiha, della celeberrima serie anime Naruto.
Ho la sua maschera nella mia collezione, l’ho acquistata diversi anni fa, prima di conoscerne la storia, mi ha “chiamato” da una bancarella a Città del Messico; mi aveva affascinato quel suo essere inquietante: la spirale su fondo arancione e un occhio solo, ma non sapevo avesse a che fare con un anime e nascondesse una storia così interessante Giulio ci spiega che Obito era un ragazzo che, pur avendo vissuto un’infanzia difficile, senza genitori, era molto generoso e in gamba; dopo una serie di vicissitudini però si trasfigurerà arrivando a diventare un villain, un “cattivo” tra i più temibili. “Ti fa riflettere molto sull’odio e su cosa può generare la vendetta”, afferma.
La scena che ritiene più importante è quando Obito assiste all’uccisione della ragazza di cui era innamorato da parte di un amico con cui c’era stato un forte legame. Ci riferisce che lo hanno colpito due momenti in particolare di questa scena:
– quando “impazzisce di rabbia e di dolore” e arriva a fare una strage uccidendo chiunque trovi intorno a sé.
– quando in una pozza di sangue prende tra le mani il corpo di lei, l’immensa sofferenza che sta provando.

Da quel momento Obito aderirà a progetti malvagi, mostrando gelido distacco verso il mondo. E’ interessante come nell’anime si espliciti che il particolare potere sovrannaturale che lo aiuta nel combattimento, il cosiddetto sharingan, poteva raggiungere il suo apice solo se chi lo possiede ha vissuto il trauma della perdita di chi ama. Più Obito soffriva, più cresceva la sua potenza, più si rendeva propenso all’avversione e all’odio. Si tratta sicuramente di un tema molto sentito da alcuni nel gruppo, in particolare quelli maggiormente “feriti” che in seguito hanno intrapreso percorsi di devianza, o di rabbiosa chiusura.

Nel sistema narrativo dell’anime Obito si pone come una sorta di doppio dell’eroe della serie Naruto, e rappresenta cosa il protagonista sarebbe potuto diventare se avesse “ceduto al lato oscuro”; il bambino generoso diventato super-cattivo solo in punto di morte si accorgerà che se fosse riuscito a reggere il dolore della perdita la sua vita avrebbe potuto prendere una direzione differente. La serie animata sottolinea come è proprio la capacità di reggere e rielaborare il dolore il discrimine tra la fioritura e la perdizione
Le domande che in conclusione ci siamo posti sono molto simili a quelle emerse per Joker:

Si può sopravvivere ad un dolore troppo grande? Come si fa? Come si rielabora il dolore?Come si fa a non cadere nel lato oscuro?

OBI-WAN KENOBI

Il personaggio scelto da Renato è Obi-Wan Kenobi, figura fondamentale nei film storici di Star Wars, e protagonista di una serie uscita recentemente per DisneyPlus.
In particolare Renato fa riferimento alla trilogia degli eposidi I,II e III, in cui Obi-Wan è il mentore del giovane Anakin, che infine si ribellerà a lui per passare al “lato oscuro” (…e sotto il nuovo nome di Darth Vader sarà centrale nella trilogia classica). Ci racconta che lo ha colpito molto il fatto che il suo allievo, a cui voleva molto bene e aveva insegnato tanto, cedendo si è ribellato contro di lui, fino a cercare di ucciderlo, e diventare una minaccia poi per l’universo intero.
Non abbiamo trovato la scena in streaming, ma l’immagine che aveva inviato Renato ritraeva in modo molto evocativo quel momento. Gli chiedo di definire con alcune parole chiave i due personaggi e il rapporto che li lega, e in seguito nominare le emozioni che li stavano attraversando. Io scrivo direttamente sulla lavagna su cui era proiettata la foto. Mi dice che Anakin è il prescelto, è tattico, è vulnerabile al lato oscuro, lo caratterizza la tristezza e la sofferenza; Obi One invece è altruista, intelligente, potente nel combattimento con la spada laser. La tensione tra di loro è caratterizzata dalla rottura di una forte amicizia, dal tradimento. Il titolo che Riccardo dà a questa immagine è “Resistenza al male

Attraverso il personaggio di Obi-One Kenobi torna il tema del tradimento. Renato dichiara che è meglio dare meno fiducia possibile alle persone, per ridurre la possibilità di incorrere nella sofferenza del tradimento. Molti annuiscono, è un discorso che mi capita di sentire sempre più spesso dagli adolescenti “quando ero più piccolo davo più fiducia, ora ho capito che è più intelligente non farlo!”. Io azzardo che qualunque relazione è passibile di sofferenza, e si espone al rischio del tradimento, mettersi in sicurezza vuol dire negarsi anche la possibilità della gioia, dell’esperienza vitale. I ragazzi ascoltano con attenzione, sono perplessi e qualcuno incuriosito, per qualcuno sembra che sia la prima volta che si pongono da un punto di vista simile.

Un altro tema che Renato ci tiene a evidenziare è quello che definisce “del bene e del male”; “quanto siamo fragili nel resistere al male! esclama. Ci spiega che Anakin è il prescelto, è molto potente ma anche fragile, è stato tentato dal lato oscuro, e la sua volontà di potere ha prevalso sul bene. E’ proprio su questo che vuole concentrare le proprie domande aperte, la prima rieccheggia la questione portata da Giulio con Obito

Come si resiste al lato oscuro?

mentre nella seconda allarga ulteriormente con una provocazione che smuove molto il gruppo:

Sì… però… cos’è il male? Cos’è il bene?

MEREDITH GRAY

L’ultimo personaggio è Meredith Gray, della nota serie Gray’s Anatomy. La porta Denise che sì è aggiunta al gruppo in un secondo momento, a sessione iniziata, e per questa ragione non aveva scritto niente. Le propongo allora di partire dal video che ci aveva segnalato. Lo guardiamo in silenzio: 4 minuti emotivamente molto forti (è davvero forte, guardatelo se siete in mood che può reggerlo…)

Siamo in ospedale, la protagonista è al capezzale di Derek, il suo compagno, che aveva appena esalato l’ultimo respiro. La musica d’atmosfera sottolinea l’intensità del momento, gli unici movimenti sono quelli dell’infermiera che spegne le macchine a cui era attaccato. Si inseriscono immagini flashback di momenti felici della coppia, per poi tornare al presente quando la protagonista si rivolge al suo uomo esamine con poche e significative parole “E’ tutto ok, puoi andare”. Denise al termine della visione sottolineerà che sono proprio queste parole a colpirla di più. La ragazza non aggiunge altro, è strano vederla così presa, commossa, lei “bad girl” che si mostra sempre distaccata ai limiti della strafottenza.
Romperò io il silenzio aggiungendo che forse da quel momento inizia il suo sforzo per accettare la sua morte, ne riconosce la tragica realtà, e che a me ha colpito quando poco dopo l’infermiera, per poter proseguire con le procedure del caso, le chiede “E’ pronta?” e lei risponde “no, ma continui”. Quel “no, ma continui” forse sottolinea che non si è mai pronti ad accettare situazioni così dolorose, però si può riconoscere la sofferenza e affrontarla, come sta facendo Meredith. Non riesco ad aggiungere altro. Le domande che ci scriviamo sono

Cosa vuol dire morire? Come si affronta la morte di una persona cara?

In questo prezioso e faticoso contributo che ci ha donato Denise si ha avuto l’occasione di tematizzare uno dei principali spettri della contemporaneità, quello della morte. Se nel passato era intesa come naturale parte della vita, e il contatto con la fine, di esseri umani e animali, era esperienza del quotidiano, oggi si tende sempre più a rimuoverla, a nasconderla, è qualcosa di cui è sconveniente parlare, da cui tenere al riparo i più piccoli. Nella società del “progresso infinito” la morte non può essere concepita, è un un bug, un “errore di sistema” da riparare, annullare, e se non ci riusciamo meglio far finta di non vederla. Nel tempo del felicismo (o del “felicismo tossico”) la morte non ha cittadinanza. Eppure ritorna ad agitare sempre più forte i sonni di noi che abbiamo perso gli strumenti per relazionarci con lei.

LA CONDIVISIONE RISONANZE

Al termine di un lavoro come questo può essere utile dedicare uno spazio alle risonanze. La consegna è semplice:

C’è un altro personaggio, oltre il vostro, che per qualsiasi ragione vi è risuonato? Che ha toccato temi interessanti anche per voi?

Nella sessione riportata, ad esempio, il giro di risonanze ha permesso a Laura, per sua scelta, di esplicitare che nella sua vita privata sta vivendo qualcosa riconducibile al tema proposto da Valeria con il personaggio di Harley Queen. Ha condiviso con il gruppo che sta vivendo un momento difficile nella relazione con il suo ragazzo, che definisce “un po’ tossica”. Ci ha raccontato quanto era legata a lui, ma che sentiva fosse il tempo di prendere le distanze perché anche la sofferenza era tanta; non sapeva però se ce l’avrebbe fatta, se era pronta, se avesse trovato la forza. Laura era molto coinvolta emotivamente, conoscendola non mi sarei aspettato che avrebbe condiviso qualcosa di così personale con i compagni. E’ stato un momento importante per lei e per i loro: con Valeria si è instaurata subito una connessione, e in generale si sono percepiti fiducia reciproca, attenzione, ascolto; è stato un ulteriore passo di crescita per il gruppo. Inoltre da quel momento si è potuto approfondire il dialogo personale tra lei e la tutor (presente in quel momento in aula) permettendo un lavoro affiancamento e accompagnamento più aperto e generativo, anche su quel delicato tema.

Le risonanze possono creare “fili” tra componenti del gruppo generando inedite “micro-comunità di sentire”, oppure imporsi nella totalità del gruppo. Nella sessione appena riportata ad esempio è emersa una diffusa risonanza per i temi portati dal personaggio di Joker: la sofferenza intensa che porta a trasfigurarsi e assumere comportamenti distruttivi; il fatto che dietro ad atteggiamenti negativi spesso ci sono storie difficili; l’importanza di essere consapevoli di sé come primo passo per poter affrontare le proprie sofferenze.

Come si è già detto è molto importante essere attenti ai temi che in ogni gruppo emergono; si tratta della bussola che il formatore ha a disposizione per orientare e progettare un lavoro di senso con i ragazzi.

Perché la musica dei più giovani sta rallentando? Un fenomeno che apre anche a nuovi immaginari educativi

Un tempo era «rock o lento?»: il rock, la velocità, la bandiera dei giovani, il lento invece cosa da vecchi. Oggi, con i «boomer» persi in un vortice di frenesia in cui si perde il senso, le nuove generazioni vogliono tirare il freno. Qualche suggestione musicale e pedagogica (e politica…).

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sulla bella rivista digitale delle amiche dell’Unità di Strada InFo.Pusher di Forlì.

(la prima parte è un pò da nerd musicale, concedetemelo…)

Prendere un brano e rallentarlo

Pochi sanno che tra le diverse influenze che hanno dato origine allo stile musicale della trap si annovera la strana abitudine di un dj di Houston, noto come DJ Screw, di suonare celebri dischi hip-hop a velocità rallentata. Con questa pratica, battezzata chopped e screwed, creava un particolare effetto di straniamento, e aveva raggiunto una certa popolarità.

Oggi qualcosa di simile sta avendo molto successo in rete: sempre più giovani si dedicano al cosiddetto slowed n reverb, pratica in cui si rallentano brani musicali – di qualsiasi genere, non solo hip-hop – aggiungendo però anche un riverbero che rende l’effetto «bolla» ancora più forte, generando una particolare atmosfera ovattata.
Cercando su youtube non è difficile imbattersi in centinaia di questi esperimenti, a cui chiunque può contribuire senza neanche rudimenti di editing musicale: c’è un comodo servizio web che lo fa per voi, il link trovate qui. Basta scegliere il brano a cui si vuole operare questo «hack», inserirlo nel portale, e sorprendersi del risultato: se è un pezzo energetico e danzereccio sembrerà posseduto dagli spiriti (Ghosts of my life…?!), se invece l’originale possiede già un’atmosfera soffusa (Lana del Rey? Billie Eilish?) il trip è assicurato. Come copertina si può utilizzare, come fanno in molti, un’immagine malinconica presa dal mondo dell’animazione giapponese.

Atmosfere low-fi per rilassarsi e riflettere

Il connubio tra musica d’atmosfera e immaginario anime raggiunge però il suo apice in un altro genere di grande successo oggi, il cosiddetto low-fi hip-hop, si tratta di brani musicali con la cadenza hip-hop ma solo strumentali, senza il rap, pezzi rilassanti basati su influenze jazz o ambient. Sempre su youtube si trovano diverse webradio che elargiscono selezioni 24 ore su 24 di quella che definiscono «musica per rilassarsi e per studiare….». A giudicare dal numero di ascolti, e dall’esperienza diretta, si tratta di un fenomeno in continua espansione.

il rap-confidenza

Più underground, ma non meno interessante, è quella variante “rappata” del lo-fi hip-hop caratterizzato, oltre che dalla cadenza iper-rallentata, dall’utilizzo minimale, talvolta la scomparsa, della batteria. Vi sareste mai immaginati interi album hip-hop senza un colpo di batteria? Andate and ascoltarvi l’ultimo lavoro di Ka per averne un esempio. Rappers dai nomi sconosciuti ai più (mike, mavi, navy blue…), ma che hanno sempre più seguito nell’underground, su loop che creano stranianti atmosfere, snocciolano le proprie rime affrontando intime riflessioni personali e temi sociali, dall’ansia al razzismo. Il mood è quello di una confidenza ad un amico intimo, o di un pensiero riflessivo che si fa parola, che si fa voce bassa e profonda.

L’emo-trap: il battito lento che accompagna le parole del nuovo disagio

Ma l’elenco della musica di tendenza che si fonda su tempi «al rallentatore» non finisce qui, non possiamo non citare la emo-trap, che riprende, a modo suo, temi nichilsti e disillusi che in passato sono stati patrimonio, in anche molto differente, di gruppi come i Joy Division, Nirvana o Slipknot (so che l’accostamento farà storcere il naso a più di uno). La struttura ritmica è quella della trap, su cui però troviamo chitarre e voci che ricordano molto il grunge, ovviamente radicalmente rallentate, come se Kurt e soci si fossero ingurgitati una extra-dose di Xanax. Non a caso Xanax e marjuana sono le sostanze più citate in questi testi, utilizzate non per ricercare «vite spericolate» ma, coerentemente, come ansiolitici. Lil Peep e XXXTentacion sono gli artisti più rappresentativi di questa corrente, anzi lo erano, dato che entrambi ci hanno lasciato prima di compiere 21 anni.

L’urgenza di respirare

In principio era il rock, i giovani prendevano le distanze dai genitori alzando la velocità. Accelerare era sinonimo di trasgressione, di futuro, di cool (pensiamo al tormentone di Adriano Celentano per cui il mondo è diviso tra rock (il nuovo, vitale) e lento (il vecchio, mortifero). E nella seconda metà del secolo scorso l’accelerazione è sempre aumentata: l’hard rock, l’heavy metal, il punk, l’hardcore, e poi la techno, la jungle e la drum n bass; i bpm (battiti per minuto) continuavano a salire in parallelo con i ritmi della società che lasciavano sempre più senza fiato.

Negli anni ’70 punk ricercava l’ «anima di chi suona» attraverso il rifiuto di ogni tecnicismo, accelerando i riff e alzando la voce che si faceva urlo; oggi invece, nel mondo di Netflix, del binge watching, dello scrolling infinito sui social network, del perpetuo rumore di fondo, della continua richiesta di accelerare ed essere performanti, l’anima i più giovani la ri-cercano nella bassa fedeltà, nelle voci calde e lentamente cadenzate. In opposizione ad un mito del progresso che mostra sempre di più le sue crepe, si impongono ritmi e atmosfere in cui si possono perdere i sensi (la condizione di biancore raccontata da Le Breton, o meglio il «Numb» dei Linkin Park) ma anche, al contrario, riconquistarli; esperienze meditative, in cui si torna a respirare, a riprendere un contatto con sé stessi e con il mondo, e immaginarne uno migliore.

Un conflitto all’altezza dei tempi che viviamo

Logorati (ma non emancipati) dalle raffiche di input del digitale più veloci di quanto si possano rielaborare, i più giovani cercano spazi in controtendenza, in cui la velocità dell’esperienza si riallinea con quella dell’organismo, perché solo così si può sopravvivere.

Si tratta di un fenomeno ancora non sufficientemente tematizzato, e non esente da ambivalenze, ma forse stiamo assistendo a nuove modalità di resistenza da non sottovalutare. Emergono nuovi spazi conflittuali che possono divenire molto importanti in futuro.

Nuove questioni educative

Queste riflessioni possiamo recepirle come curiosità, o come fenomeni interessanti dal punto di vista sociologico, però possiamo anche dargli una particolare attenzione come elementi che possono interrogare il modo in cui conduciamo il nostro lavoro.
Noi, nel campo educativo, della formazione e della cura, come ci posizioniamo rispetto a tutto ciò? Averne consapevolezza può influire sulle nostre pratiche?

Possiamo ad esempio chiederci come intercettiamo queste nuove sensibilità, a che velocità e in che quantità elargiamo i nostri input, quali «spazi rallentati e di intensità», di cui questi ragazzi hanno così urgenza, possiamo allestire con loro.
Siamo in grado (anche nel nostro lavoro on line) di creare setting raccolti, zone franche in cui l’incontro, la confidenza, il silenzio anche, può trovare il suo spazio, oppure anche noi siamo complici (e vittime) del vortice? Quali «hack» possiamo mettere in campo per rallentare gli stimoli, «stare» e tessere senso?
Probabilmente, spinti dalla retorica della «ripartenza», la partita si giocherà sempre più su questo piano: pensiamo solo ai discorsi sulla scuola, in cui la preoccupazione maggiore sembra essere «recuperare il tempo perduto», che non potrà che alimentare nuovo abbandono.
Non è una sfida facile, ma riflettiamoci, e facciamoci trovare pronti.

Per proseguire queste riflessioni potrebbe interessarti…

Quando la trap diventa spazio di incontro generativo

Quale presente? Quale futuro? La musica più indigesta degli adolescenti apre a inaspettate riflessioni

Avevo raccontato ai ragazzi la storia dell’hip-hop attraverso video musicali, era stata una lezione seguita con attenzione. Sebbene si ragionasse principalmente sulla dimensione musicale e storica, avevo come sempre anche portato qualcosa di me, sottolineando quanto alcune canzoni mi avevano segnato, avevano contribuito a dare senso al mio percorso di adolescente, mi avevano dato conforto e voglia di reagire.

Lorenzo, forse proprio ispirato da questi miei frammenti autobiografici, ad un certo punto si alza ed esclama “ce l’ho io un video!” e propone di guardare quello che, secondo lui, non si poteva perdere se si voleva parlare rap «che conta»: 6 A.M. del produttore hip-hop Night Skinny.

Sebbene sapessi bene chi fosse l’artista – avevo avuto modo anche di conoscerlo personalmente perchè aveva prodotto i beats per il mio amico (e grande rapper, e insegnante, e educatore…) Andrea “Mastino” – quel video me l’ero proprio perso.

La parte strumentale è opera dello stesso Night Skinny, mentre quella vocale affidata a Izi e Gue Pequeno; due personaggi, in particolare l’ultimo, su cui ho sempre avuto molte resistenze dati i clichè di cui si compongono spesso le sue canzoni.

Avevamo però un pò di tempo e dico ok a Lorenzo.
I venti minuti successivi sono stati un momento davvero stimolante di riflessione non solo sul rap e la trap, ma in generale sui vissuti degli adolescenti attuali, e sul mondo in cui viviamo.

Guardiamo allora il video insieme, è davvero fatto bene, è realizzato completamente in animazione; per 4 minuti rimaniamo in silenzio e lasciamo che le immagini animate evocative che ci scorrano davanti agli occhi.

Vi consiglio di guardarlo anche voi, poi andate avanti a leggere

Al termine chiedo ai ragazzi di provare a scegliere un’immagine, un fotogramma che gli risuona particolarmente, che sentono come significativo (in genere questa semplice consegna è un buon punto di partenza per lavorare in modo riflessivo ed esperienziale su uno stimolo video).

L’infanzia serena

La prima scena che evidenziano, e sui cui convergono in molti, sono le 7 sfere del drago. Io, che per motivi generazionali, Dragon Ball andrò a guardarmelo solo dopo quel giorno (chiedo scusa al mondo…), non le avevo neanche riconosciute. Mi spiegano che nell’anime ci sono queste 7 sfere (da cui il nome della serie) sparse per il mondo. Chi riesce a trovarle tutte può esprimere un desiderio al drago (che compare anche nel video nel fotogramma successivo) che lo esaudirà. Una volta esaudito le sfere si ridistribuiscono immediatamente in diversi luoghi remoti del pianeta (non pensavo che un lavoro a tema hip-hop ci avrebbe anzitutto portato così in fretta sui lidi della pedagogia nerd).

I ragazzi spiegano che questa scena è importante per loro perché nella vita i desideri sono imprescindibili, ed è stupendo quando si realizzano.
Dopo questa prima dichiarazione parte un momento reverie: si accavallano i ricordi di quando erano bambini, il tempo dell’innocenza in cui erano convinti che il mondo fosse bello e la vita pronta ad esaudire i propri desideri. Collegano questi pensieri ad altre immagini presenti nel video, quelle dello scooter e del Nokia 3310, rievocando il periodo pre-smartphone, evocandolo come il tempo storico dell’autenticità, prima che, sostengono, l’avvento del digitale e dei social network rendesse tutto finto.

La sensazione da accogliere di un futuro minaccioso

E’ interessante come i ragazzi abbiano sottolineato per l’esistenza per loro di due passati mitici: quello dell’infanzia e quello storico, datato quest’ultimo solo un decennio prima, un’ «epoca dell’oro» vista come molto diversa da quella attuale.
I ragazzi oggi spesso associano al tempo presente la perdita di autenticità, e hanno uno sguardo negativo verso il futuro. Se vogliamo capire gli adolescenti di oggi è fondamentale avere la consapevolezza di questo loro vissuto, senza sminuirlo. Si sottolinea come “il mito del progresso” – ancora fortemente radicato nell’immaginario di molti adulti – nelle nuove generazioni sia sempre più labile, se non, come in questo caso, abbia cambiato di segno. La storia non viaggia più in modo lineare verso «il meglio», lo sviluppo tecnologico non è più garanzia di benessere presente e futuro per l’uomo. Un tema che come vedremo, sarà al centro di molte riflessioni stimolate da questo video.

LASCIARSI ANDARE

Interrompo lo scambio di ricordi e nostalgie per i tempi passati e chiedo se qualcuno voleva portare un’altra immagine tratta dal video.
L’insetto morto con intorno le pastiglie! dice Laura. Anche qui in molti annuiscono. Laura dice che da un’idea “di schifo”, di trasandatezza, “come quando una persona lascia andare tutto, perché non ha motivi per vivere“. Racconta che ci sono stati e ci sono tutt’ora momenti vissuti così, e che succede a tanti, l’ha visto anche in amici e parenti. Gli altri annuiscono.
Emerge il tema delle sostanze, di come le utilizzino come un lenitivo, “una sorta di medicina che non ti fa pensare, ti anestetizza ma ti riduce ma poi ti fa diventare apatico“. Un’immagine molto lontana da quella “cool” associata alle droghe che la maggior parte delle volte presentano quando ne parlano. Mi colpisce, si aprono preziosi spiragli di autenticità, da gestire con delicatezza.
Ecco un altro elemento sempre caratterizzante gli adolescenti oggi: le sostanze, più che strumento conviviale di trasgressione, o per farsi viaggi «oltre le porte della percezione», sono sempre più utilizzate come anestetico, come un farmaco ansiolitico, e magari consumate in solitudine.

QUANDO MORIREMO? QUANTO TEMPO MANCA?

La terza immagine che emerge dal gruppo è il fantasma che balla in una piazza Duomo di Milano in rovina, in un efficace remix visivo di Betty Boop Snow White di Max Fleischer.
Ritorna ancora il parallelismo tra la decadenza individuale a quella storico-sociale. “La civiltà sta finendo in fondo al mare” dice Lorenzo!

Quando moriremo?” si chiede Luca “E per cosa? Sarà per il riscaldamento globale, per le guerre… Quanto tempo manca?
La domanda riverbera tra i ragazzi quando Lorenzo incalza: “La verità in questo video è quando si vede la pantera sulla Lamborghini distrutta: la natura è più importante della ricchezza, alla fine vincerà la natura, la ricchezza dura poco, vale poco

L’immagine è davvero forte, e in un attimo stravolge tutti gli stereotipi monodimensionali della trap e della lettura spesso superficiale che ne fanno gli adulti.
Un anno prima aveva riscosso grande successo la canzone «Lamborghini» di Guè Pequeno insieme a Sfera Ebbasta, lo stesso che canta una delle due strofe del pezzo su cui stiamo riflettendo.
In quella canzone, uno degli inni della trap tricolore, Guè dichiarava: “oggi mi sposo con i money, i soldi per me sono dio”. In 6.A.M. invece la stessa Lamborghini è andata a schiantarsi, e una pantera nera cammina sopra la carcassa.

Il doppio sogno

Proponendo qualche tempo dopo ad un gruppo di educatori il video «Lamborghini» insieme a «6 a.m.», proprio per discutere di questi temi, è emersa una riflessione molto interessante. Un collega ha condiviso come, posto di fronte a questi due stimoli, gli fosse parso di aver assistito ad un «doppio sogno».
Lamborghini, di Gue Pequeno e Sfera Ebbasta rappresenta la dimensione diurna, racconta la superficie, rappresenta la narrazione che spesso (con nostro disappunto) ci restituiscono i ragazzi.
Il video di 6.a.m. è invece la sua controparte notturna, il sogno, o meglio l’incubo, che rappresenta l’indicibile, la voragine, ciò che (anche dalla trap) si percpisce ma non è confidabile nemmeno a se stessi, pena la destabilizzazione (qualcosa che forse ha a che fare con il concetto lacaniano di reale?).

Il giorno è «la narrazione della trap»: ciò che conta nella vita è il denaro, il sesso predatorio, essere vincenti senza scrupoli, «farcela» in modo da essere ammirati e temuti. E’ il copione “diurno” che si dispiega nei discorsi in gruppo dei ragazzi: “è così la vita fra..” ci dicono, quando proviamo ad obiettare.

Il video 6 a.m. apre invece ci dice cosa c’è sotto a questo racconto: sappiamo inconsciamente che tutto ciò non ci porterà a essere felici, a stare bene, è solo il gioco che ci sentiamo obbligati a giocare. In realtà questo ci può portare all’annientamento, nostro e del pianeta.
Ci dice anche che i ragazzi (e molti tra gli artisti stessi), più o meno consapevolmente, lo avvertono, e lo soffrono.
Al di là infatti di 6.A.M. in cui questo «svelamento» è molto esplicito, in diverse canzoni trap troviamo un verso, nascosto da qualche parte nel testo, in cui si riconosce l’illusorietà di tutto questo immaginario, la consapevolezza della dimensione distruttiva di questo racconto a cui, si dice, non ci sono alternative (e quindi tanto vale abbracciarlo, ed esaltarlo).

La trap come volto senza veli del racconto della nostra società

Noi adulti spesso ci poniamo nei confronti di questa iconografia, in modo scandalizzato e moralistico, con l’urgenza di allontanare i ragazzi da rappresentazioni cariche di dis-valori. Forse però molti di questi elementi negativi – il mito del successo personale, l’individualismo, l’esaltazione del lavoro che conferisce status, denaro e potere – sono semplicemente la narrazione prevalente della società che abitiamo, non della trap, una narrazione che in certi suoi elementi talvolta anche la scuola e i servizi educativi strizzano l’occhio. I testi di cui parliamo hanno solo il pregio/difetto di estremizzare tutto ciò, di amplificarlo, di presentare esplicitamente il suo vero volto, che è rivoltante, ce lo mostrano come «il pasto nudo sulla forchetta», come direbbe William Borroughs.
E se fosse proprio «stare», esplorare questa realtà insieme senza aver paura di reggerne lo sguardo, un punto di partenza per affrontarlo educativamente? Può essere utile esplicitare anche le nostre fragilità e senso di impotenza, invece che subito invitare a «pensare positivo»? 

LA DONNA CHE PIANGE

Tornando al lavoro in aula, a questo punto sembrava che di riflessioni ne fossero emerse già tante e molto significative e che si poteva andare verso la conclusione, quando ancora Lorenzo, con il solito tono di chi la sa lunga, alza la mano: “si, va bene tutto questo, ma c’è un’immagine che è più importante di tutte le altre, e non è nel video: è la copertina della canzone”
La cosa mi incuriosisce molto, la cerco in rete, la trovo facilmente e la proietto.

Rappresenta una donna, ben truccata, con una sigaretta tra le dita; strani segni dagli occhi le attraversano le guance, lacrime stilizzate.

Decido allora di utilizzare la tecnica dell’ “esplosione della storia”: quando stiamo lavorando su un’immagine o un video in cui c’è qualche personaggio che colpisce in modo particolare, ma di cui si hanno poche informazioni, un buono strumento per facilitare l’approfondimento riflessivo è quello di provare a narrare la sua storia, inventandola a partire dalle proprie risonanze.
Chiedo allora a Lorenzo di raccontarmi, attraverso la sua immaginazione, chi è quella donna.

Lorenzo inizia senza esitazioni a «illuminarci»: “Si capisce che quella che sta fumando non è una sigaretta normale. Vedi quei puntini? È cocaina. È un’immagine perfetta per le sei di mattina: lei è andata a ballare, si è fatta di ogni cosa, ha appena scopato con uno sconosciuto. Ora piange perché ha paura di essere rimasta incinta”

IL PRESCELTO CI SALVERA’

Mi colpisce la sicurezza con cui Lorenzo racconta la storia. Un pò per stimolare la riflessione, un pò perchè io personalmente curioso, gli chiedo se è davvero incinta, e se in caso terrà il bambino:
“Si, è incinta e questo bambino nascerà”
“E ci sai dire qualcosa di questa creatura?”
“Il figlio che nascerà sarà un illuminato: non porterà le colpe della madre e salverà il mondo, dichiara il ragazzo con perfetto tono da profeta”

Finisce così la storia e finisce il tempo che avevamo a disposizione.

UNO SPAZIO DI AUTENTICITA’ DA ATTRAVERSARE CON SENSIBILITA’

Questo video ha aperto uno spazio di riflessione davvero ampio, per loro, per me.
E’ stato occasione di dialogo autentico tra noi, il video è stato l’oggetto mediatore che lo ha reso possibile, ogni volta che questo accade penso quanto sia importante prendersi del tempo per questo tipo di attività, e quanto sia importante sospendere il giudizio e lasciarsi attraversare e magari sorprendere.

I ragazzi attraverso le immagini hanno raccontato momenti sereni della loro infanzia, e hanno tematizzato il disincanto per il progresso e il timore per il futuro, il fatto che nella loro esperienza che non possiamo liquidare con facilità, oltre il ricordo malinconico del passato (biografico e storico), restano solo due alternative: seguire le parole d’ordine imperanti nella società fino al baratro, facendo finta che questa menzogna sia vera, oppure riconoscerne la tragicità, ma ammettendo allo stesso tempo anche la propria impotenza.

E IL FUTURO?

In tutto ciò però il futuro non è completamente scomparso, c’è ancora spazio per essere citato dai ragazzi, ma è una luce in lontananza, una speranza ancora viva ma non ritenuta a portata di mano. Il futuro più vicino è invece un futuro-catastrofe, una catastrofe che però è in qualche modo catartica, è l’unica cosa che può rimettere le cose al loro posto: la pantera che cammina sulla Lamborghini distrutta, in un panorama in cui l’uomo non si vede più, forse si è estinto, o forse è rifugiato e ha voglia di ri-inventarsi in un modo realmente e radicalmente diverso.

Molti adolescenti di oggi (certo non tutti) sentono che la loro generazione è già politicamente persa, già troppo invischiata in logiche mortifere, troppo deboli i legami e troppo in loop vittima di algoritmi efficacissimi.
La speranza allora è che sarà qualcun altro a portare il nuovo (interessante notare come il cambiamento non sia concepito come risultato di una lotta collettiva ma dell’intervento di un singolo salvatore, «il prescelto»).

I più giovani, soprattutto quelli più sensibili, portano il peso di un’impotenza che non va minimizzata, ridimensionata, “basta lottare tutti insieme, cosa ci vuole? vuoi nuove generazioni siete dei rammolliti, guarda ai nostri tempi!“. Per quanto controintuitivo forse è importante imparare a sostare anche noi in questo senso di impotenza che caratterizza la nostra epoca, che per molti versi è un pò anche nostro, ma non abbiamo il coraggio di ammetterlo (noi ce la caviamo dicendo che tocca a loro, che noi siamo troppo occupati, rivelando la nostra essenza di cronofrettici, usando il bel neologismo di Vincenza Pellegrino). Forse abbiamo proprio bisogno di tempo, per ascoltare la sofferenza della frenesia e dell’impotenza, e poi cominciare a tessere alleanze, ricreare nuove comunità con nuove parole d’ordine, provare a inventare nuovi racconti. E forse dobbiamo farlo con loro, incontrandoci in modo autentico senza giudicarci, come è accaduto quella mattina a scuola, a partire da un video trap.

Gli adolescenti cercano spazi di vuoto e intensità (a ritmo di blues)

Dal soggetto di un video musicale scritto in modalità partecipativa emerge il desiderio di rallentare e di incontro autentico (ora più che mai)

Ecco fuori dal cassetto il racconto di un’attività fatta con i ragazzi in tempi “pre-covid”, ma che non perde oggi la sua attualità, anzi. In un’epoca di legami deboli e di iperstimolazione, che con la pandemia si sono trasformati in isolamento e sovraesposizione ai dispositivi digitali, i ragazzi cercano spazi dove il ritmo rallenta, e alla base c’è la qualità della relazione. 
E noi educatori/formatori/insegnanti come ci poniamo?

L’idea di Filippo Corbetta, regista e amico, era semplice e forte: raccontare nel videoclip a cui stava lavorando la fuga di due ragazze adolescenti dalle aziende in cui erano in stage. Una sorta di Thelma e Luise dei giorni nostri: la prima ruba il furgone dell’azienda in cui è ospitata, va a recuperare la seconda che – all’inizio un pò titubante – sale a bordo, e insieme fuggono via.

La questione centrale per la stesura del copione era a questo punto capire dove sarebbero potute andare. Filippo aveva qualche idea ma era convinto che chiedere direttamente ad adolescenti della stessa età delle protagoniste sarebbe stato molto interessante e più realistico.
Concordiamo allora una data in cui sarebbe venuto a trovarci all’Anno Unico per discuterne con i ragazzi.

OGNI INCONTRO E’ PREZIOSO

Il giovane regista si siede così tra di noi in classe un giovedì mattina.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento decidiamo, come sempre accade quando abbiamo ospiti, di chiedergli di raccontarci la sua storia. In un mondo difficile da decodificare come il nostro ascoltare storie di vita, soprattutto di chi non ha molti anni più dei ragazzi, è sempre preziosissimo. In particolare era interessante ascoltare la storia di una persona che per passione ha scelto la professione di filmmaker, consapevole della difficoltà di portare avanti il proprio progetto. Gli stimoli di riflessione emersi in poco tempo sono stati moltissimi: cosa vuol dire vivere di “arte”, la precarietà, le soddisfazioni, i compromessi, i momenti di sconforto, i viaggi, la necessità di imparare a mediare tra le richieste del committente e la propria ricerca artistica e tanto altro.

ALLA RICERCA DI IDEE PER IL VIDEO

Chiusa questa parte abbiamo avviato il “focus group” per la raccolta di idee per la sceneggiatura del video. I ragazzi all’inizio erano un pò reticenti, come è giusto quando si incontra una persona nuova, in breve tempo però la discussione si è animata.

La domanda di partenza è quindi stata “dove andresti con una tua amica/o se aveste un furgone a vostra disposizione?”

Se qualcuno tra i lettori ha immaginato che i ragazzi avrebbero risposto “a fare shopping”, “a divertirsi, a spaccarsi!” non conosce bene i “nuovi” adolescenti. Certo, tra le tante idee all’inizio sono emerse anche questo tipo di proposte, ma quella che infine ha prevalso è stata ben diversa.

ALLA RICERCA DI SPAZI DI VUOTO E INCONTRO

Quello che maggiormente emerge dai suggerimenti dei ragazzi non è stata una meta ricca di stimoli, di rumore, di persone, ma uno spazio di tranquillità, di intimità, di vuoto:

In riva al mare la sera!
in una fabbrica abbandonata!
a parlare,
a fumare una sigaretta con calma… al tramonto…

 ci dicono

si è imposta la ricerca di uno spazio sereno, “notturno”, al riparo dalla frenesia del quotidiano.
Passa quindi l’idea della fabbrica abbandonata.

OGNI POSTO TRANQUILLO NON E’ MAI TRANQUILLO

Barbara prima si lascia cullare dall’idea che i protagonisti guadagnino la propria tanto ambita tranquillità, ma poi rimane pensierosa; rialza lo sguardo dicendo agli altri che nella realtà non si può mai stare tranquilli, c’è sempre qualcuno che mette i bastoni tra le ruote. Propone allora che ad un certo punto spuntino fuori dei bulli, maschioni seducenti, che si riveleranno poi personaggi senza scrupoli che cercavano solo di “divertirsi” con le due ragazze. Ribadisce che questo è un mondo dove le persone sono false e non ci si può fidare di nessuno, ognuno segue il suo interesse, che le ragazze vengono cercate solo se “la danno”. Gli altri, in particolare le ragazze, annuiscono, è un momento importante di solidarietà femminile, e un chiaro messaggio ai maschi.
Insieme propongono a Pippo che nel video le ragazze trovano la forza di dire “NO”, allontanare gli aggressori e ritrovare la loro pace. Una proposta scenica che, recitata nel video, avrà una certa forza simbolica.

… E NE E’ NATO UN VIDEO DAVVERO BELLO

I suggerimenti dei ragazzi, filtrati e ri-interpretati dalla sensibilità e dalla capacità tecnica del regista (nonchè dalla bravura delle attrici) hanno portato alla creazione di un video veramente bello, che ha anche vinto diversi premi. Lo potete vedere qui sotto.
Quando è uscito, diverso tempo dopo la mattinata appena raccontata, lo abbiamo visto insieme in classe, rievocando le nostre riflessioni, integrando con nuovi spunti dati dalla visione.
In un ottica freiriana si è trattato di interrogarsi, “problematizzare” a partire da un determinato tema che risuona nel gruppo e “codificarle” in un prodotto artistico che aiuti a portare ulteriori elementi inediti di riflessione.

Per noi formatori è stato sicuramente un tassello in più per conoscere meglio i nostri ragazzi, questi adolescenti della generazione sovrastimolata, dell’individualismo estremo (dell’isolamento…), che come desiderio hanno spazi di vuoto, di serenità, di incontro intimo e autentico.


Qui trovate tante altre cose interessanti sul suo lavoro di Filippo Corbetta

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Imparare a tremare

Non voglio imparare a non aver paura, voglio imparare a tremare
Non voglio pacificare tutto,
voglio esplorare la realtà anche quando fa male

Questi sono gli stendardi realizzati nello Spazio Donna Zen gestito dall’associazione Handala, esposti al palazzo delle Aquile di Palermo, nel contesto delle azioni organizzate per la giornata del 25 novembre 2020 dal movimento “Non una di meno”.
Non riesco ad aggiungere parole. In questa poesia di Livia Chandra Candiani c’è tutto. Un manifesto esistenziale, pedagogico, radicalmente contro-culturale per la nostra epoca. In fondo, dopo le immagini, trovate il testo completo.

Imparare a tremare

Non voglio imparare a non aver paura,
voglio imparare a tremare
Non voglio imparare a tacere,
voglio assaporare il silenzio da cui ogni parola vera nasce.
Non voglio imparare a non arrabbiarmi,
voglio sentire il fuoco,
circondarlo di trasparenza che illumini quello che gli altri mi stanno facendo e quello che posso fare io.
Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere.
Non voglio essere buona, voglio essere sveglia.
Non voglio fare male, voglio dire:
mi stai facendo male, smettila.
Non voglio diventare migliore,
voglio sorridere al mio peggio.
Non voglio essere un’altra,
voglio adottarmi tutta intera
Non voglio pacificare tutto,
voglio esplorare la realtà anche quando fa male,
voglio la verità di me
Non voglio insegnare,
voglio accompagnare.
Non è che voglio così, è che non posso fare altro.

[Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione, Torino, Einaudi 2018]

Strutturarsi. Un villaggio digitale nella giungla tossica – Inventare formazione con adolescenti distanti. Parte 5

FASE TRE: LA “STRUTTURAZIONE APERTA”

Passata la fase del lutto e dell’impotenza, passata quella dell’aggancio nei territori del digitale e della prima sperimentazione di nuove pratiche, siamo infine entrati in un’ ipotetica fase tre, che potremmo definire della “strutturazione aperta”.

Dopo più di un mese di sperimentazione, dopo aver testato gli strumenti a cui i nostri ragazzi rispondevano meglio, il loro grado di tenuta, aver ascoltato i loro ritorni, si è potuto andare a definire un piccolo modello, un dispositivo che ha una sua forma specifica, seppur ancora “aperto” passibile di modifiche, anche importanti.

Abbiamo quindi ordinato in modo stabile gli interventi raccontati in queste pagine osando qualche aggiunta (una videolezione di matematica e una di grafica a settimana).

In questo momento quindi la nostra settimana si presenta così:

ogni mercoledì invio delle consegne per un’attività riflessiva, degli esercizi di matematica e inglese

– una chiamata individuale da parte del tutor in cui fare il punto su vissuti personali e questioni scolastiche.

– un appuntamento conviviale di condivisione di gruppo dei nostri vissuti, caratterizzato anche da leggerezza e risate insieme.

una videolezione “pillole di matematica”

– una videolezione “gocce di grafica”

una trasmissione radio settimanale principalmente inerente a temi delle attività riflessive.

Inoltre, a sancire questa “fase della strutturazione” abbiamo fornito ai ragazzi due spazi web di riferimento, uno integrativo di “appoggio” a tutta l’attività proposta, e uno personale, un diario di bordo condiviso solo tra l’allievo e noi.

Ritengo sia importante ad un certo punto sancire una nuova struttura, dare una forma e magari un nome al nuovo “villaggio”. Lo è per sottolineare che quello che abbiamo creato non è una brutta copia di quello che avevamo prima ma è qualcosa di nuovo, con pro e contro, ma con una sua dignità e forse bellezza.

Uno spazio virtuale (accogliente) che sia la casa della scuola on line

Un elemento importante che ha caratterizzato questa fase è la creazione di una sorta di rifugio dell’Anno Unico in quarantena nel cyberspazio. In questo luogo (utilizzando l’applicazione Padlet) i ragazzi possono trovare il calendario, le consegne e i testi dei compiti assegnati per quella settimana, i podcast delle trasmissioni radio, l’archivio dei compiti delle settimane precedenti. Inoltre è presente una sezione che abbiamo chiamato “compiti a buffet”, che contengono ulteriori attività esperienziali (principalmente) ed esercizi legati alle materie di base in modo che, nell’ottica che ognuno segua il proprio bio-ritmo, i ragazzi possano personalizzare il loro programma di lavoro individuale.

La pagina contiene inoltre materiale per ripassare alcuni argomenti delle materie di base (immagini, fogli di testo, videolezioni in un’ottica di flipped classroom) e uno spazio di condivisione di lavori riflessivi svolti dai ragazzi.

Questo spazio, fruibile anche attraverso app mobile, vuole essere anzitutto un punto di approdo per i ragazzi, un luogo ordinato che resiste alla frammentazione e al “rumore” che può generare il mondo digitale.

Una casa bella

Un’attenzione che abbiamo avuto è stata la resa estetica. Ci tenevamo che la casa virtuale dell’Anno Unico potesse essere bella, avesse una sua forza simbolica anche nella cura grafica sempre nell’ottica di coltivare spazi digitali il più possibile “caldi”. Abbiamo quindi scelto la grafica di fondo e soprattutto le immagini. In particolare sono state utilizzate diversi screenshot tratti all’anime “Nausicaa della valle del vento” del regista Hayao Miyazaki, come riferimento simbolico dell’approccio che vogliamo ci animi. In questo lungometraggio animato i personaggi devo stare molto attenti nelle loro azioni e portare sempre maschere antigas perché l’aria è divenuta irrespirabile e la natura ostile. La protagonista Nausicaa è un’adolescente che porta la propria vitalità e desiderio di rapportarsi in modo generativo anche nella “giungla tossica”, tessendo relazioni, inedite alleanze, apprendendo e ponendosi in maniera trasformativa.

Fornire ai ragazzi uno spazio personale un pò zaino, un pò diario, un pò specchio che li mostra crescere.

Oltre alla pagina web ogni allievo ha a disposizione una seconda pagina che, a differenza della prima, è accessibile solo a lui e a noi. Si tratta di uno spazio dove poter raccogliere tutte le attività svolte, ma anche le riflessioni, i pensieri, tutto ciò che può essere importante dal punto di vista della crescita personale e dell’apprendimento che sta avvenendo in questo periodo, elementi magari emersi nei dialoghi settimanali con i tutor.

Questo spazio ha un valore integrativo, aiuta a mettere in ordine quanto conquistato e vissuto durante il viaggio, come metaforico zaino o diario di bordo. Inoltre può divenire anche uno strumento valutativo e soprattutto autovalutativo, strumento riflessivo in cui emergono potenzialità, passi avanti, si registra lo sbocciare di “fiori nel caos”.

La scelta del software

Per realizzare la pagina integrativa e il diario personale abbiamo scelto di utilizzare, come accennato, l’applicazione Padlet; purtroppo abbiamo dovuto accontentarci di un software proprietario e non esattamente rispondente al nostro ideale (è bello pensare che un giorno si possa sviluppare un software open source immaginato appositamente per l’apprendimento esperienziale, pensato da formatori e coder insieme…). Ad ogni modo, tra altre opzioni che abbiamo vagliato era quella che meglio poteva avvicinarsi alle nostre esigenze di base: facilità nell’utilizzo condiviso dell’interfaccia, una certa elasticità nella personalizzazione del layout, la possibilità di incorporare file multimediali ed esporre in modo chiaro molti materiali in un contesto grafico gradevole. Si tratta di una piattaforma spesso usata nelle scuole elementari. Ritengo che per ragionare su un lavoro a distanza per adolescenti e adulti in una prospettiva di lavoro esperienziale può essere molto utile creare sinergia con il lavoro di ricerca dei colleghi che lavorano con i più piccoli,che, per sensibilità pedagogica e necessità dei propri piccoli utenti, sono forse più inclini a sperimentare soluzioni originali che tengano in considerazione anche gli aspetti relazionali ed emotivi.

Educare con la poesia ai tempi del coronavirus

Questa è una delle attività a distanza proposte ai nostri adolescenti durante il periodo di quarantena, in cui si sentiva forte l’urgenza di rielaborare i vissuti emotivi di una situazione così particolare (qui ma anche qui racconto il dispositivo che abbiamo creato per la formazione a distanza con ragazzi in dispersione scolastica)

Abbiamo inviato ai ragazzi il testo di due poesie: “Paura” di Raymon Carver e “Ciò in cui credo” di James Ballard (in una versione ridotta). Quest’ultima l’avevo scoperta da adolescente su Decoder e mi aveva subito catturato: credo che contenga tutti gli elementi che possono far innamorare un adolescente della poesia: trasgressiva, visionaria, con parole “armate” e fragili insieme.

Credo
nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro
di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli.
Credo nelle mie ossessioni,
nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di
automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati. 

(…)
Qui il testo completo

“Paura” di Carver l’ho scoperta invece più di recente, e mi ha colpito per la semplicità con cui affronta temi molto forti e molto vicini ai vissuti dei ragazzi; ogni volta che la si propone in aula apre a mille risonanze e riflessioni:

Paura di vedere la macchina della polizia fermarsi davanti casa.
Paura di addormentarsi la notte.
Paura di non addormentarsi.
Paura del ritorno del passato.
Paura del presente che fugge.
Paura del telefono che squilla nel cuore della notte.
Paura delle tempeste elettriche.
Paura della signora delle pulizie con un neo sul viso!
Paura dei cani che mi hanno detto che non mordono.
Paura dell’ansia!
(…)

Qui il testo completo

L’attività

Come riscaldamento abbiamo chiesto ai ragazzi di immergersi nelle poesie scegliendo due versi che risuonavano in modo particolare in loro raccontando il perchè.

In seguito la sfida lanciata è stata quella di scrivere anche loro due poesie di 10 versi ciascuna, strutturate esattamente come quelle che di Carver e Ballard. Nella prima ogni verso doveva cominciare con “paura di…”, nella seconda “credo in….”

— sulla poesia come strumento educativo leggi anche una notte in biblioteca

In periodi di destabilizzazione, dare nome alle proprie paure e ricordarsi i propri riferimenti saldi può avere un grande valore.

Ci ha stupito il fatto di aver ricevuto testi da quasi tutti i ragazzi, anche da quelli che si sono sempre dichiarati meno interessati o reticenti all’attività poetica (potrai averne degli assaggi nel testo al termine dell’articolo)

La forza dell’anafora e di proporre esempi evocativi

Un lavoro di questo genere ha due punti di forza importanti che ne facilitano la riuscita:
l’utilizzo della figura retorica dell’anafora (la ripetizione di una o più parole all’inizio di ogni verso), una modalità di scrittura immediata, che facilita l’attivazione e l’indagine non superficiale di sè (è importante richiedere la scrittura di un numero di versi non troppo basso, in modo da incoraggiare una ricerca introspettiva che superi il “copione stereotipato”).
La possibilità di partire da due testi fortemente evocativi come esempio. Attraverso la lettura delle poesie che gli avevamo inviato i ragazzi hanno colto immediatamente che avremmo accettato i loro contenuti senza censure, e che potevano far convivere nei propri componimenti contenuti più e leggeri e altri più profondi.

Una restituzione all’altezza del lavoro svolto

Era fondamentale una restituzione ai ragazzi, dato anche il valore delle loro produzioni; la condizione di formazione a distanza richiedeva però un’idea speciale.
Dopo un pò di riflessione ho deciso di estrarre un verso dalla poesia di ogni ragazzo e di “mixarli” insieme creando un nuovo testo da inviare loro (un lavoro di cut up poetico molto hip-hop, ispiratomi da Saul Williams, il mio artista di poetry slam preferito).
E’ stato particolare anche il modo in cui è stato recapitato il testo: l’ho letto su una base di Lil Peep, registrato e inviato come podcast, nella cornice di “Radio Anno Unico”, attivata come strumento di comunicazione “notturno” proprio per il tempo di quarantena.

Realizzare questo testo non è stato immediato, ci ho messo parecchio tempo ma ci tenevo che il risultato “suonasse” e che potesse restituire loro tutta la bellezza di cui i ragazzi erano stati capaci,  una bellezza che ha anche un potere di cura.

Il risultato

Si narra che nel gruppo di what’s app dei ragazzi sia girato un messaggio che diceva qualcosa tipo “oh! ascoltate l’audio che ci hanno mandato.. alla fine siamo dei cazzoni ma quando ci mettiamo siamo straprofondi…” . 
Non poteva esserci soddisfazione maggiore.

Qui potete ascoltare il podcast inviato ai ragazzi in cui leggo il testo:

La puntata di Radio Anno Unico in cui leggo ai ragazzi il cut-up dei loro versi

E qui il testo:

Paura che il tempo sia troppo veloce
paura che il tempo si blocchi
paura del futuro – paura della morte
paura delle ambulanze a sirene spiegate
paura di emozioni troppo forti
paura dell’amore – del coraggio – della mia ansia
di non essere all’altezza – di non essere abbastanza
paura che mi privino dei miei diritti
paura di essere usata
paura del caos – della libertà eccessiva
paura – anzi voglia – di anarchia
paura delle conseguenze
paura di dover sopravvivere sempre
paura di non addormentarmi
paura dei ragni
paura di vedere i miei nonni, i miei genitori, i miei fratelli e i miei parenti morire
paura di fingere – di fallire
paura di essere rinchiusi – paura di uscire
paura di volare per paura di cadere
paura di rimanere soli
paura che la polizia sta volta si fermi proprio da me
paura della paura
paura di una casa senza famiglia
paura di un nemico senza volto e spietato
paura per il mio pianeta ormai affaticato.

Credo nel divertimento tra amici
nei pensieri d’amore che ti cambiano l’umore
nelle lunghe riflessioni fatte per farti sentire in colpa,
credo negli interminabili sospiri con la testa sotto il cuscino.
Credo alla distanza di due anime – Credo nelle anime vaganti – nella mia anima vagante
credo a chi ne ha passate tante – a chi si è sempre rialzato
credo anche a chi non ce l’ha fatta
credo nelle seconde possibilità, anche se poi sbagli… e basta.
credo nel non farcela – che niente sia mai abbastanza – credo nell’ansia
credo nelle vittorie insanguinate di coraggio costante, nelle spiacevoli ricadute nonostante l’ esperienza, nella furbizia che ti sei creata perché altrimenti ti avrebbero schiacciata.
credo all’ amore di due corpi – che il destino non esista, che il futuro va creato
credo nel mio gatto, che ritorni! perchè mi manca tanto
credo nelle sconfitte – nell’essere fragili
credo che la vita abbia riservato qualcosa per ognuno noi
credo nella parole, quelle vere
credo che tutto andrà bene
credo che sia importante avere – qualcosa in cui credere
credo in cose che è meglio lasciar perdere
credo nelle promesse, anche se non ne hanno mai mantenuta una
credo in me stesso
credo che oggi nessuno sappia veramente stare solo
credo nei miei fratelli anche se a volte rompono
credo che sto impazzendo
credo nella natura che si sta riprendendo il suo spazio nel mondo.
credo nel rifugio della propria ombra
credo nella pace dopo la tempesta, nella segretezza della disperazione,
nel buio più cupo di un cielo senza stelle.
credo nelle lacrime che sussurrano rassegnazione, nei pianti che ammazzano la voce,
nella disperazione – più forte di un temporale.
credo nella complicatezza dell’amore
credo che bisogna lottare per avere quello che si vuole

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Un ritmo per dare valore al presente – Inventare formazione con adolescenti distanti. Parte 4

Gilles Deleuze e Felix Guattari ci suggeriscono che le “forze del caos” possono essere fronteggiate “costruendo ritornelli”, creando ritmi che marcano dei confini nello spazio-tempo indeterminato. Un po’ come i bambini che disegnando un cerchio con il gesso sulla strada, ritagliano la propria casa, uno spazio abitabile entro cui giocare. I due filosofi francesi facevano riferimento all’arte come strumento privilegiato per generare questi ritornelli, marcare questi confini nel caos, rimanendone però in dialogo. Il lavoro sopra descritto nello scorso articolo di produzione poetica e diaristica proposto ai ragazzi può probabilmente attivare un processo simile.

Si può parlare di ritmo come strumento per affrontare il caos anche in riferimento all’importanza – in una situazione come questa di assenza di impegni vincolanti imposti dall’esterno – di scandire momenti diversi nella propria giornata, mantenendo un controllo sul tempo. Un post che è molto girato sui social network nelle scorse settimane conteneva una citazione attribuita ad una scrittrice russa (di cui non sono riuscito a recuperare molte altre informazioni) che recita così: “Una volta la nonna mi aveva dato un consiglio: Nei periodi difficili, vai avanti a piccoli passi / Fai ciò che devi fare, ma poco alla volta / Non pensare al futuro, nemmeno a quello che potrebbe accadere domani / Lava i piatti. Togli la polvere / Scrivi una lettera. Fai una minestra / Vedi? / Stai andando avanti passo dopo passo. / Fai un passo e fermati. Riposati. / Fatti i complimenti. Fai un altro passo. Poi un altro. / Non te ne accorgerai, ma i tuoi passi diventeranno sempre più grandi. / E verrà il tempo in cui potrai pensare al futuro senza piangere.” Al di la della retorica un pò consolatoria, perfetta per l’ambiente dei social network, il brano contiene un messaggio che potremmo immaginare che sia consegnato simbolicamente da un anziano (la generazione più martoriata in questi giorni) che ha vissuto la povertà, magari la guerra, ai più giovani rimasti orfani della scuola.

togli la polvere…

Il suggerimento è di stabilire ritualità nella propria quotidianità, non lasciarsi andare ma coltivare impegni dando valore al tempo presente, un tempo “liscio” in cui possono avere gioco facile piattaforme come netflix, youtube, instagram, progettate per generare dipendenza, rapire nella “zona della macchina” (Dow Schull) in cui il presente scompare, lasciando poi però una sensazione di immobilità, impotenza, disistima.

Molti ragazzi con cui lavoriamo raccontano di situazioni in cui si sentono completamente in balia di queste piattaforme, invertendo talvolta il ritmo sonno-veglia. Imporre un ritmo proprio, lo sviluppo di un’autodisciplina che renda liberi di disporre di sé, si rivela obiettivo educativo ancora più importante.

Uno spazio di azione difficile

Ma cosa possiamo fare noi per sostenere i ragazzi su questo fronte? Sicuramente è uno dei campi in cui abbiamo meno possibilità di essere incisivi. La nostra azione si innesta nel territorio educativo totalizzante che è quello dei contesti famigliari dei ragazzi, uno spazio-tempo fuori dalla nostra influenza.

Proverò comunque, sulla scorta delle riflessioni e sperimentazioni attuali, ad evidenziare alcune piccole possibilità di movimento:

a- Sostenere a distanza

Con i ragazzi possiamo anzitutto tematizzare la questione, accogliere le loro storie, le difficoltà, le loro ritualità quotidiane o la difficoltà di costruirne. Si può ascoltare in modo non giudicante come è organizzata la loro giornata e suggerire individualmente impegni minimi alla loro portata, che possano davvero generare piccoli scarti. Quando è possibile è molto utile creare sinergia con la famiglia, sostenendo i ragazzi nel chiedere ai genitori (è importante che lo facciano loro stessi) un aiuto a mantenere delle ritualità che in prima persona si sono proposti.
Allo scopo di supervisionare anche questo aspetto abbiamo deciso di dedicare ad ognuno un contatto settimanale con il tutor.

b- Spostare lo sguardo dal futuro ad un presente che vale la pena venga vissuto

Il consiglio della nonna per affrontare tempi difficili è quello di non pensare al futuro, ma di concentrarsi sul presente. Si tratta di un approccio che all’Anno Unico abbiamo fatto nostro già prima di quest’emergenza: siamo chiamati a lavorare con ragazzi in dispersione scolastica (per cui simbolicamente si è interrotto il “viaggio verso il futuro”) in un momento storico in cui lo stesso futuro ha cambiato di segno, da speranza diventato una minaccia (era già così anche prima del virus…). In questo contesto è risultato prezioso rivalutare la dimensione del presente, il valore di ogni passo, concentrarsi su ciò che oggi, un giorno dopo l’altro, può far sentire “di più” (Freire) senza comunque rinunciare alla dimensione del desiderio.

Declinato in questa situazione il suggerimento è di sottolineare con i ragazzi come il momento attuale non sia una spiacevole parentesi in attesa che il mondo ricominci, ma un tempo-risorsa in cui al contrario tutto si fa più intenso, così anche le possibilità di crescita e di cambiamento, indipendentemente da quello che sarà poi. La quarantena diventa in questo modo una sorta di rito di passaggio, uno spazio dove la quotidianità si sospende ma il processo trasformativo accelera.

Un esempio di questo si è appena visto con Monica: nel suo diario scrive che è molto dispiaciuta che tutto questo stia accadendo proprio ora, nel momento in cui (dopo tre anni di assenza da scuola) stava cercando di cambiare sfruttando al massimo l’occasione dell’Anno Unico per riprendere il proprio percorso formativo. L’attuale destabilizzazione potrebbe compromettere la possibilità di raggiungere gli obiettivi minimi per l’inserimento nella nuova scuola. Noi formatori, che eravamo ignari di questa preoccupazione, avevamo semplicemente osservato che lei, dall’inizio del lockdown, stava mettendo un impegno ancora più forte di prima nel portare a termine le attività assegnate, mostrando particolare sensibilità nel lavoro più riflessivo, e ci commuoveva il fatto di vederla seguire le video-lezioni del primo pomeriggio mentre riordina la cucina, in una casa dove il suo contributo nelle faccende domestiche è fondamentale.

Dopo aver letto quelle parole sul suo diario le abbiamo restituito che noi non sapevamo cosa sarebbe successo dopo, se a settembre ci sarebbero state le condizioni per l’inserimento che tanto desiderava. Però quello che potevamo fare era testimoniare quello che stava accadendo nel presente, che per lei era davvero l’anno del cambiamento, che avevamo di fronte una ragazza che stava crescendo velocemente, un processo irreversibile al di là di come sarebbe andata scolasticamente nei mesi immediatamente successivi. Una restituzione del genere l’ha colpita e in qualche modo forse ridato senso al suo fare.

Sostenere un’ecologia del tempo attraverso il ritmo dei nostri stimoli

Un’altra possibilità tra quelle a nostra disposizione è relazionarci nei confronti dei ragazzi in modo “ritmico ed ecologico”. Se la scuola o il lavoro educativo in presenza ha orari rigidi (anche eccessivamente) il lavoro a distanza talvolta rischia di essere troppo destrutturato, basandosi sui contributi individuali di formatori e operatori, non sempre coordinati: ognuno invia le proprie comunicazioni in qualsiasi orario, il suo carico di compiti senza conoscere quanto affidato dai colleghi.

Un forte coordinamento nell’interfacciarsi con i ragazzi, rispettando un loro sano bio-ritmo può essere un punto di partenza importante.

Come equipe noi ci siamo ci siamo presi questi impegni:

Dare regolarità alle nostre comunicazioni: I messaggi dei compiti, i colloqui telefonici, le videochat, le trasmissioni radio sono appuntamenti che si devono ripetere ogni settimana il più possibile sempre negli stessi giorni e orari, evitando la frammentazione. (Questo richiede una forte autodisciplina anche da parte nostra, dato che non tutti, chi scrive prima di tutto, annoverano la puntualità e l’ordine tra le loro qualità migliori)

Far si che il carico di lavoro e coinvolgimento nelle attività sia tarato sulle possibilità ed esigenze dei ragazzi. Significa trovare quel delicato equilibrio tra attivarli in modo significativo, far sentire la nostra presenza ma senza superare il limite sottile al di là del quale si produce ansia, che per qualcuno si declina in iperattività per essere “all’altezza”, sacrificando tempi per altre attività o il riposo, mentre per altri in una resa a priori.

– Dare la possibilità di personalizzare il carico di lavoro.
Instaurare un’attenzione individuale e fornire le risorse affinchè i ragazzi possano costruirsi un proprio programma di lavoro, variando carico e tipologie di attività a seconda della propria situazione e dei propri obiettivi. A

Costruire senso quando il caos è dentro e fuori – Inventare formazione con adolescenti distanti. Parte 3

Quando qualcosa di improvviso fa saltare le certezze della quotidianità i vissuti emotivi possono destabilizzare, diviene difficile orientarsi e interpretare il mondo: si perde il senso. In questi giorni lo stiamo vivendo un po’ tutti. Il caos si moltiplica, le emozioni a volte sono difficili da reggere. Il compito della scuola (e di qualunque contesto di formazione…) oggi forse deve essere quello di sostenere i ragazzi nello sviluppare la capacità di vivere questo momento, di costruire nuovo senso, di trasformare il vissuto in esperienza, in apprendimenti inediti. Una necessità tanto più urgente per quei ragazzi in condizione di maggiore vulnerabilità e disagio, che ciò che sta accadendo ha amplificato.

Un periodo fecondo per imparare: evidenziare i temi di apprendimento

La situazione attuale, nella sua tragicità, è indubbiamente una grande risorsa di apprendimenti. In quanto formatori è importante provare a focalizzare quali sono i principali temi di apprendimento potenziali in modo da sostenere i ragazzi nel costruire il proprio percorso di ricerca.

I temi di apprendimento sono domande aperte, problemi che aprono scenari di ricerca autentici, di cui il formatore non è depositario della risposta. Eccone alcuni che in equipe abbiamo evidenziato:

  • Come ci si relaziona con la fragilità dell’uomo, la sua impermanenza, la morte?
  • Cos’è la scienza? Qual’è il suo metodo? Quali sono i suoi limiti?
  • Quale rapporto tra l’uomo e l’ecosistema?
  • Come si abita la solitudine? Cos’è la solitudine?
  • Come resistere in situazioni di limitazione della libertà?
  • Quale rapporto tra libertà e sicurezza?
  • Quale rapporto tra scienza e politica?
  • Come relazionarsi con la paura, l’ansia, e tutte le emozioni che a volte ci sovrastano?
  • Quale rapporto tra comunità e individualismo?

L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, i temi di apprendimento sono potenzialmente infiniti, ognuno ha i propri, quelli che per sé sono prioritari, urgenti, o che semplicemente lo coinvolgono maggiormente. Fondamentale da parte del formatore è cercare di dare la possibilità ad ogni ragazzo di approfondire i propri, ponendosi in ascolto, ampliando e personalizzando il numero degli stimoli, e le proposte di attivazione.

Quali attivazioni per il lavoro a distanza

Una volta esplicitati i temi di apprendimento il nostro compito è individuare attivazioni, testi, pratiche che siano da stimolo per supportare il percorso di approfondimento. Le consegne possono focalizzarsi sulla produzione scritta, multimediale, sul disegno; il materiale testuale può essere narrazione scritta, pittorico, storico, poetico, musicale, filmico, giornalistico o altro.

Se nella necessità di esserci con i ragazzi, sottolineata nell’articolo precedente, era fondamentale che ci ponessimo con loro prima come esseri umani che come professionisti, in questo tipo di lavoro le nostre specifiche competenze professionali e disciplinari tornano fondamentali. Se siamo insegnanti di matematica, di scienze, educatori, poeti, attori, sociologi, il contributo che possiamo dare è diverso, e tutti sono preziosi.

La sfida particolare in questo momento è formulare proposte che possano funzionare a distanza, senza bisogno di lunghe spiegazioni, coinvolgenti a sufficienza per essere svolti a casa senza perdere l’attenzione, in famiglie in cui talvolta l’adulto non è nelle condizioni di essere da supporto. Non vuol dire avanzare proposte banali, ma invece va intesa come un’occasione anche su questo fonte per ricercare l’essenziale, sostenere generatività senza le complessità di cui talvolta sono cariche le nostre attività.

Strumenti per rielaborare e gestire vissuti emotivi destabilizzanti

Abbiamo scelto di focalizzare le prime consegne su attività di rielaborazione del vissuto emotivo e della nuova quotidianità, provando ad indagare le domande quali “Come relazionarsi con la paura, l’ansia e tutte le emozioni che a volte ci sovrastano?”, “Come si accoglie e ci si relaziona con la fragilità dell’uomo?”, “Come si abita la solitudine?”. Ci sembrava il fronte più urgente: i ragazzi sono stati forzati a casa da un giorno all’altro, con la propria famiglia, non sempre luogo sereno, e con le proprie inquietudini e timori: la paura di aver perso un altro anno, la fatica della co-abitazione forzata, la distanza dagli amici, la tensione per quello che sta succedendo fuori.

  • il diario

La prima proposta è stata di provare a cimentarsi in alcune pagine di diario. Ho inviato loro alcuni brani estratti dal diario di Anna Frank (con il rischio di risultare un po’ troppo “classico” e scontato), chiedendo loro di leggerli, di sottolineare i passaggi che risuonavano di più in loro e poi di provare a scrivere un proprio diario, raccontando almeno due giornate della loro settimana da “reclusi”. E’ stato inaspettato ricevere pagine e pagine di racconti, riflessioni mai banali sulla loro vita a casa, racconti-sfogo di sofferenze e fatiche ma anche testimonianze di piccole gioie fatti che li avevano stupiti positivamente. La cosa più importante che è successa è che, a giudicare dalla quantità del materiale prodotto, hanno provato benessere nello scrivere, scoperto il valore di questa pratica, soprattutto in momenti di emergenza.
Inoltre leggere i testi dei ragazzi è stato un primo modo anche per noi di avvicinarci ai loro vissuti, ricominciare a “risuonare” con loro.

  • la poesia

La seconda proposta è stata invece in ambito poetico. Abbiamo dato ai ragazzi una consegna molto semplice: scrivere 10 versi che iniziavano con “Paura di…” e altri 10 con “Credo in…”, alla maniera di due poesie che avevamo inviato loro (“Paura” di Carver e “Ciò in cui credo” di Ballard). In tempi di destabilizzazione, dare nome ai timori (e alle angosce) e rievocare i propri riferimenti saldi forse è importante.(conto di pubblicare a breve un articolo in cui approfondirò, per chi è interessato, i dettagli di questa attività).
Abbiamo ricevuto materiale da quasi tutti i ragazzi, e i contenuti erano molto intensi. Per valorizzarli – come restituzione “a distanza” – ho estratto un verso da ogni poesia ricevuta e li ho “mixati” insieme creando un nuovo testo che poi ho letto durante la registrazione di una puntata di Radio Anno Unico.

Costruire apprendimento critico sulla situazione attuale

Oltre ad aiutare i ragazzi nella rielaborazione dei vissuti personali, è importante dare un senso anche a quello che sta succedendo “fuori”, facilitare una riflessione critica rispetto alla situazione che la società sta affrontando in tutta la sua complessità, nei suoi aspetti: sociali, etici, economici, politici, scientifici.

Ogni giorno ognuno di noi è raggiunto da centinaia di stimoli informativi riguardanti la situazione della pandemia, ma che spesso si riducono a fatti di cronaca frammentati o peggio semplicemente a numeri, in una sorta di trasformazione della realtà in un gioco, un grande videogame in cui vinceremo quando arriveremo a “zero contagiati”. Tutto questo genera facilmente ansia e tensioni e poca consapevolezza nella lettura del presente.

Per questa ragione abbiamo deciso di selezionare e inviare ai ragazzi alcuni articoli riguardanti la situazione attuale, attenti che avessero queste due caratteristiche:

affrontino temi a cui i ragazzi in qualche modo siano già sensibili

– non si limitino alla mera cronaca ma propongano una riflessione più ampia, un tentativo di dare una lettura di senso.

Fino al momento in cui scrivo abbiamo trattato il tema della condizione delle categorie sociali più vulnerabili in un contesto di distanziamento sociale e il tema del controllo sociale. L’aumento di controlli e la limitazione della libertà personale è uno degli argomenti più sensibili per alcuni dei ragazzi, in particolare quelli che hanno già vissuto situazioni di tensione con le forze dell’ordine o procedimenti giudiziari.

Un approccio esperienziale e critico

In una prospettiva di apprendimento critico ed esperienziale (Freire 1971, Reggio, 2010) si è chiesto ai ragazzi di evidenziare quali problematiche i testi facevano emergere in loro, quali risonanze e quali punti di disaccordo. Si è proposto di cambiare il punto di vista rispetto a quello abituale mettendosi nei panni di persone altre da sé, di immaginarsi ipotesi di azione o cambiamenti per il futuro.

Il valore di mettersi in gioco noi per primi: quando anche il formatore si sperimenta nelle consegne date ai ragazzi.

Un impegno che mi sono preso durante questo periodo è di svolgere le consegne che diamo ai ragazzi. Se c’è da scrivere una poesia la scrivo anch’io, faccio mente locale per immaginare la mia pagina di diario, mi prendo del tempo per riflettere sugli argomenti che poniamo loro e formulo le mie domande rimaste ancora aperte. Questo materiale lo leggo o lo racconto nel podcast, o negli incontri in videochat.

Se da una parte una pratica di questo tipo ha realmente un’utilità anche per il formatore, per il proprio personale percorso di costruzione di senso, da un’altra è carico di messaggi importanti per i ragazzi: che la ricerca è un’esperienza che anche noi adulti stiamo portando avanti, con le nostre risorse, con le nostre vulnerabilità; che non proponiamo attività al fine di valutarli o occupargli il tempo ma riteniamo che abbiano davvero un valore.

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