E’ tempo di un approccio educativo e sociale alla sofferenza degli adolescenti

6 parole-medicina per un approccio critico e desiderante al disagio delle nuove generazioni

Gli adolescenti stanno male, se ne sono accorti quasi tutti. E’ una sofferenza che in alcuni ragazzi si manifesta attraverso fenomeni estremi come il ritiro sociale o agiti (auto)distruttivi, in altri rimane un costante sottofondo di ansia, tristezza, tensione.
Se si tratta generalmente di vissuti biografici ad innescare le sintomatologie più gravi, di certo non bastano a spiegare il fenomeno. Una sofferenza così ampiamente diffusa non può che avere anche una forte origine sociale.

Alcuni dei fattori patogeni che oggi generano il disagio pisichico li si citano spesso, sebbene tavolta in modo un pò generico: individualismo, competitività, utilitarismo, continua spinta alla performance, la pervasività delle tecnologie digitali, la precarietà e la mancanza di futuro; altri sono più sottotraccia.

Melissa ci racconta che la sofferenza attuale è dovuta al fatto che non ci fanno mai sentire “abbastanza”

Un mondo educativo rassegnato

Come ci posizioniamo noi educatori e operatori sociali di fronte a tutto questo?
Il mondo educativo e formativo oggi sembra si sia rassegnato: riteniamo queste “storture” un dato di fatto, accettiamo il mondo così com’è, riducendoci insegnare ai più giovani a divenire «resilienti», «flessibili», «armati» per essere all’altezza dell’hunger game, la postura contemporanea del tutti-contro-tutti. Riteniamo di avere poco spazio di manovra rispetto a questa emergenza, delegando spesso all’intervento di psicologi o di neuropsichiatri.

Aissa e Ale ci dicono che fa stare male questa continua lotta tutti contro tutti (tra le macerie)

Prendere posizione

E’ tempo a nostro avviso fare un salto, prendere posizione di fronte a tutto ciò. Queste nuove manifestazioni di sofferenza hanno origine in elementi oppressivi dell’epoca che viviamo, sono temi generatori emergenti, come li definiribbe Paulo Freire, se vogliamo dare senso al lavoro educativo oggi, con un approccio critico e desiderante, non possiamo non porre la questione al centro del nostro lavoro.
Siamo chiamati ad analizzare, “cartografare”, le cause sociali di quanto sta avvenendo e creare strumenti, dispositivi ad hoc che se da una parte possando contribuire alla crescita individuale, dall’altra non possono che interrogare il mondo che abitiamo, decostruire le sue parole d’ordine, porsi in modo critico e immaginativo.

Allestire luoghi educativi e di cura radicalmente alternativi alla società patogena

Ci siamo resi conto che il modo più efficace per fare rifluire la vita nei più giovani (e in noi stessi) è allestire setting educativi radicalmente alternativi alla società patogena. Se la corsa alla performance toglie il fiato dobbiamo ragionare di luoghi in cui respirare, abbassare il peso delle aspettative, se ogni competenza va capitalizzata dobbiamo essere pronti a proporre esperienze “inutili” al progetto personale, ma imprescindibili per sentirsi vivi, se il mondo algoritmico e funzionalista ha rimosso la dimensione del senso, dobbiamo creare spazi in cui farci domande profonde, esplorare la vertigine dello stare con 3 ragazz3 nel non sapere, nella ricerca, nell’ineffabile. Non è facile perchè si tratta di andare controcorrente a una narrazione diffusa per cui l’adolescenza è solo la fase dell’investimento verso il futuro lavorativo.

Immaginare mondi

In questo modo non solo potremo impattare l’emergenza attuale, ma anche allestire con gli adolescenti stessi spazi laboratorio per sperimentare un modello di società diversa.
Si tratta di prenderci cura dei più giovani prendendoci insieme cura del mondo.
Il mondo desiderato dalle nuove generazioni è già racchiuso nei sintomi della loro sofferenza, è tempo di allearci per iniziare a costruirlo; come operatori sociali, fare la nostra parte.

La nostra borsa-medicina

Per conferire concretezza a tutto ciò, mantenere una bussola nel agire quotidiano, all’Anno Unico, la nostra “scuola per chi non va a scuola” utilizziamo una speciale borsa medicina*.
Contiene sei parole-cura o, appunto, parole-medicina che orientano le nostre prassi: RESPIRARE, RISUONARE, INTERROGARE, COMPORRE, SPERPERARE, DECENTRARSI.
Non vanno scambiate per un manifesto, sono il frutto di appunti di viaggio annotati e rielaborati lungo la strada, in continuo divenire e dialogo con la realtà, intuizioni che teniamo strette durante il nostro cammino, imperfetto, polveroso, che ha voglia di contaminare e di essere contaminato.

RESPIRARE

Allestire isole ri-generative dove riprendere fiato, rinfrancarsi dal peso aspettative, della prestazione, della sovrastimolazione

Il mondo contemporaneo stanca, consuma, rende esausti. Siamo chiamati alla continua competizione, prestazione, misurazione, sovrastimolazione.
Se un tempo la prima preoccupazione dell’educatore era quella di attivare i più giovani, oggi contro-intuitivamente deve essere quella anzitutto di permettergli di prendere fiato rallentando, sottraendosi da questi elementi patogeni. Il processo di cura comincia in luoghi dove non si viene caricati dal peso delle aspettative, ma ce ne si possa disintossicare, dove le performance non vengano continuamente misurate, e il talento non debba essere per forza capitalizzato. Nel mondo della velocità e del rumore dobbiamo allestire isole ri-generative in cui è concesso riconquistare il tempo, trovare il vuoto e il contatto con se stessi, rallentare, dirci “andiamo bene così”; dove – quando fuori tutti chiedono di mostrarci – vi sia la possibilità di rimanere in penombra.


RISUONARE

Allearsi in gruppi sensibili, in cui ci si può riconoscere anche strani, goffi, vulnerabili, in cui ci si incontra attraverso la vibrazione del sentire.

Le nuove generazioni sono cresciute respirando individualismo, non sanno più stare insieme perchè hanno la pelle troppo sensibile, sono preoccupati solo di se stessi. Inoltre oggi il legame ha valore solo quando genera utilità reciproca. In un contesto del genere l’educatore non può che porsi come tessitore di legami, ma deve rifiutare il richiamo di quei modelli aggregativi che fino ad ora sono andati per la maggiore: tendenzialmente logocentrici, funzionalistici, mascolini. L’alternativa sono quelli che chiamiamo i gruppi sensibili, il modo di stare assieme che nasce dall’incontro di pelli sottili. Si tratta di alleanze fondate sul sentire, dove strumenti privilegiati di relazione sono il pulsare dei corpi, gli occhi, l’arte, le parole sussurrate, il gioco, anche il silenzio. Nei gruppi sensibili sono accolte le vulnerabilità, le ombre, ognuno è serenamente imperfetto, adeguatamente strano.


INTERROGARE

Esplorare insieme domande di senso urgenti

La sofferenza attuale è sintomo anche di una crisi esistenziale, della mancanza di senso. La ricerca di significati profondi dell’esistenza non trova posto nel paradigma della tecnica e degli algoritmi.
In un contesto del genere è urgente, educativo e terapeutico, ritagliare un tempo importante per tornare a esplorare domande di senso improrogabili: sulla vita, la morte, il progresso, la tecnologia, la felicità, le relazioni, le emozioni. Sarà fondamentale non cedere alla fretta di giungere a risposte definitive, non rifuggire quelle che paiono più impegnative, destabilizzanti. Per questo viaggio di ricerca possiamoattingere a tutto ciò che noi e gli adolescenti abbiamo a disposizione: la letteratura e i vissuti personali, il pensiero filosofico e la fantascienza, la saggezza antica e le arti pop, la ricerca spirituale e le controculture, incontri fecondi con chiunque possa portare nuova linfa alla ricerca di significato. Nuovo senso apre a nuovi sguardi e a nuove prassi.


COMPORRE

Esercitare il linguaggio narrativo, ricombinante, immaginativo e simbolico per ri-comporsi, abitare l’ombra e l’ineffabile, aprirsi a nuove visioni

 cheNel mondo attuale esperiamo la frammentazione, la destabilizzazione, viviamo emozioni che non sappiamo come nominare, in un contesto in cui nell’ideologia razionalista attuale tutto ciò che non è misurabile non esiste. Inoltre tutto ciò che è negativo spaventa e viene rimosso a priori, va rifuggito e non ci viene insegnato come abitarlo. Tutto questo è fonte di sofferenza.
E’ necessario allora liberare le attività «espressive» dall’ innocuo ruolo in cui sono state relegate nel mondo dell’educazione e dello spettacolo e ritrovare la loro forza ancestrale di strumenti di comunità e di cura. Si tratta di risorse per esplorare le nostre ombre, l’ineffabile, e di strumenti di visione. Dobbiamo insieme ai più giovani ri-alfabetizzarci ai linguaggi del simbolico, del mito, dell’immaginazione, all’antica arte di raccontare storie che il nostro tempo ha rimosso o relegato nel marketing; diventare cultori del ri-comporre, plasmare, remixare, del dare forma come atto curativo e generativo


SPERPERARE

Perdere tempo per sperimentarsi in ciò che non è redditizio, ricercare salti di intensità lasciandosi attraversare dalla vita

Oggi siamo assillati ad accumulare competenze capitalizzabili, selezionare le occasioni formative più redditizie per «realizzarci», siamo chiamati ad essere strategici imprenditori di noi stessi. Di contro gli adolescenti sono sempre più de-motivati, spenti. In un contesto simile gli spazi educativi devono provvedere a ingenti iniezioni di attività che siano sperpero di tempo e di energie, non volte a guadagni sul fronte del «progetto personale», ma che possano generare salti di intensità, potenza vitale, profondità umana, portare all’esplorazione del mondo e di se stessi: attività inutili a raggiungere traguardi materiali ma essenziali all’essere. E’ necessario sviluppare l’arte di individuare i territori e gli incontri generativi che, rispettando le differenze di ognuno, possono alimentare questo processo. Dobbiamo inoltre sviluppare sempre nuovi strumenti riflessivi per trasformare i vissuti in esperienza significativa.


DECENTRARSI

Concepirsi oltre a sé, sbilanciarsi verso l’altro, essere legami, natura, mondo, cosmo

alunni dell’Anno Unico animano i bimbi mentre le loro mamme imparano l’italiano

In questo mondo ognuno è chiamato raggiungere il proprio successo, conquistare la propria felicità. Per fare questo dobbiamo tenerci sotto controllo, monitorare debolezze e i progressi, ascoltare il feedback dell’ambiente. Il centro di tutte le nostre attenzioni siamo noi: questo non è sano.
Negli spazi educativi e di cura si dovranno allora trovare occasioni per decentrarsi, mettere da parte la priorità a sé stessi e al proprio progetto per dedicarsi a qualcosa che ci trascende. Spazi dove si possa dimenticarsi dell’io per sbilanciarsi verso l’altro e il mondo, le sue urgenze, le sue meraviglie; sentirsi comunità, natura, pianeta, cosmo. Sarà quindi risorsa educativa privilegiata trovare occasini per mettere a disposizione le proprie energie, risorse e talenti per il bene comune. Dovremo trovare modalità per risuonare con il pianeta, aprirci a rinnovate forme di spiritualità e all’incanto del mondo.

…e la vita torna a fluire

Vivendo un anno sperimentando tutto questo i nostr3 ragazz3 adolescenti drop out, anche spesso nelle situazione che sembravano più compromesse, percepiscono lentamente la vita riaffiorare.
Accade allora che quegli stessi genitori scettici della nostra proposta così poco produttiva, che avevano iscritto il figlio perché non sapevano a chi altro rivolgersi, tornino da noi e ci dicano:

“Io non so cosa sia successo, e non ho ancora capito bene cosa fate, però vedo Marco (Lidia, Mohamed, Giada…) con gli occhi più luminosi, forse non ha risolto del tutto i suoi problemi, però ha una postura diversa, a cena ha anche voglia di parlare, sta tornando il desiderio…”.

*La “Borsa medicina” è un termine che non a caso fa riferimento alla pratica di cura degli sciamani (ringrazio Ilaria Caelli per insegnarmi su questo mondo affascinante). Non è un riferimento casuale, indica l’urgenza di recuperare saperi e ritmi antichi che la modernità occidentale ha annullato, ma che possono oggi essere imprescindibili.
Non ha niente di razionario, non è per tornare indietro, ma per immaginare inediti futuri.

afrofuturismo Marsiglia


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